21 Gennaio 2016 - 10:17

Da Eraserhead a Inland Empire: i 70 anni di David Lynch

Lynch

David Lynch, il regista di Twin Peaks, Mulholland Drive e Velluto Blu, ha compiuto 70 anni. Onirico, surreale e tremendamente crudo, in una carriera ormai cinquantennale ha indagato ogni oscuro labirinto della mente umana, distinguendosi per produzioni atipiche e spaventose, superiori a qualsiasi horror

[ads1]Parlando di lui, il saggista e scrittore americano David Foster Wallace disse una volta: “A Quentin Tarantino interessa guardare uno a cui stanno tagliando l’orecchio, a Lynch, invece, interessa l’orecchio“.

In effetti, poche citazioni su David Lynch sono state azzeccate come questa dell’autore cult di Infinite Jest, morto suicida nel 2008 per impiccagione, visto che la scena dell’orecchio è quella attorno alla quale ruota la trama di uno dei grandi film del regista di Missoula che ha compiuto 70 anni, Blue Velvet.

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Blue Velvet, di David Lynch: Kyle Machlachlan trova un orecchio mozzato

Blue Velvet mette davanti alla macchina da presa l’attore-feticcio di Lynch, quel Kyle Maclachlan già visto in Dune e Twin Peaks, il quale interpreta stavolta un giovane studente, che tornando dal college e dirigendosi verso l’ospedale dove dovrà assistere suo padre colpito da un colpo apoplettico, trova su un terreno incolto un orecchio mozzato.

Parte così una surreale indagine, nella quale verrà ripercorsa tutta la storia di questo macabro reperto, e attorno alla quale si snoderà tutta la trama del film, in mezzo ad amori, gangster e persino sesso selvaggio, come dimostra la scena madre del film, tra Maclachlan e Isabella Rossellini.

Ma non è solo Velluto Blu a narrare l’attrazione di Lynch per tutto ciò che è onirico e surreale.

Già nel 1977, con quello che è considerato il suo film d’esordio, Lynch scioccò con il suo “Eraserhead – La mente che cancella“, mettendo davanti alla telecamera la storia di un non meglio precisato individuo che diviene padre di quello che, apparentemente, è una specie di mostro, una creatura realizzata con impressionante dovizia di particolari, sulla quale Lynch stesso non si è mai voluto esprimere circa le modalità in cui essa è stata realizzata.

Si dice che la creatura fosse un feto d’agnello abortito, ma abbiamo scoperto che non è vero.

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Eraserhead: il mostro

Ciononostante, il protagonista Harry Spencer, interpretato dall’indimenticato Jack Nance, anch’egli visto in Twin Peaks, lo accudisce come se fosse un figlio vero, per quanto a sprazzi si comprenda che in realtà il mostro forse non esista veramente, ma sia soltanto un sogno nel sogno. Non di rado, infatti, le immagini della creatura si inframezzano con quella di una ballerina con strane escrescenze cancriformi ai lati della bocca, in una specie di follia surreale di Spencer nella quale tutto sembra essere il contrario di tutto.

Eraserhead è stato incluso nella Biblioteca del Congresso degli Stati Uniti come “culturalmente significativo” ed è forse la chiave di volta per comprendere l’intera produzione del maestro di Missoula, nel quale i labirinti oscuri della mente sono i protagonisti assoluti di ogni film.

Con Lynch si passa sempre da sogno a sogno, e perfino il leggendario Twin Peaks, il telefilm che tenne incollate centinaia di migliaia di persone in tutto il mondo, si disperde spesso fra immagini surreali che tutto sembrano avere, fuorché una base reale. Mulholland Drive, suo ultimo capolavoro in ordine di tempo, ne è un ennesimo esempio: un film che inizia in maniera apparentemente normale, ma che poi si disperde tra i sogni di due donne (Naomi Watts e Laura Harring), le quali diventano amiche ma che forse non esistono. O forse esistono, sono esistite, ma adesso non sono veramente loro.

Lynch, comunque, è così: o lo si ama o lo si odia, ma oggi il maestro compie 70 anni ed un tributo all’uomo dovrebbe arrivare da chiunque ama il cinema, in maniera imprescindibile da chi apprezza, comprende e/o ha il coraggio di guardare le sue produzioni.

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Rabbits, cortometraggio di David Lynch

Chi ha visto la sua produzione praticamente per intero, però, e sa cosa succede “In una città senza nome, bagnata da una pioggia incessante” a tre conigli che “convivono con un terribile mistero“, sa che David Lynch è un esperienza a tratti scioccante, e che seguirlo è spesso impossibile.

Ma con lui è sempre come vedere un quadro surrealista in movimento, perché sono le immagini, in Lynch che contano. E ciò lo si capisce bene anche quando sembra che il regista arrivi a farsi prendere la mano, e metta sulla pellicola film come “Inland Empire, il labirinto della mente”, nei quali una trama praticamente non esiste.

Il consiglio è provare a guardarlo, perché con Lynch è tutto di guadagnato.

Forse un solo uomo è riuscito a superarlo per genialità surrealista, quell’Alejandro Jodorowski che però non è perfettamente noto al mainstream del genere, ma che ha saputo andare persino oltre Lynch.

Nel frattempo, al maestro di Elephant Man, che non ha mai vinto un Oscar nonostante i meriti, i migliori auguri per altri settant’anni di grande cinema, forse impossibili solo per motivi anagrafici. [ads2]