14 Ottobre 2017 - 10:38

Andrea D’Ambrosio, il regista di Due euro l’ora, al mio studio

Andrea D'Ambrosio

“Pronto, sono Andrea D’Ambrosio, e volevo venire da lei per un consulto”

La voce di Andrea D’Ambrosio è di quelle accattivanti. Col senno di poi e con la “paraculaggine del piacione“, l’avresti definita una voce da “Ciak!“.

Ho visto nel 2007 Biutiful Cauntri e sono stato male un’intera notte rivivendo la scena della bambina che, con la freddezza dell’abitudine, getta via un paio di agnellini consumati dalla diossina.

Due anni fa, invece, mi sono morsicato le labbra a sangue per la rabbia di fronte al sottoscala in cui erano costrette a lavorare le operaie di Due euro l’ora.

Il problema è stato associare questi due film che ho particolarmente amato al nome di Andrea D’Ambrosio (mea culpa!) e, in seconda battuta, capire che proprio quel regista da me così apprezzato ha preso le fattezze, oggi pomeriggio, del tizio simpatico che sta seduto di fronte a me.

Ebbene, realizzato il tutto, passo dal lei al tu con la stessa velocità con cui si va a vedere un film di D’Ambrosio non appena si ha notizia della sua uscita.

Dopo, nell’ordine, il parere legale (anche la legge paga pegno all’arte, ça va sans dire), quattro chiacchiere sugli argomenti più disparati, gli chiedo un’intervista.

Predispongo, allora, un registratore vocale che a lui ho detto di aver scaricato on-line un minuto prima della sua venuta ma che, in realtà, è da stamattina (non appena ho fatto il collegamento di cui sopra) che provo e riprovo come se solo la traccia digitale possa convincermi che di fronte a me ho proprio lui, il regista Andrea D’Ambrosio.

Pronti, via.

“In Due euro l’ora, c’è il teatrino dei carabinieri che, entrati nel sottoscala per un’ispezione, finiscono per gradire una tazza di caffè. In Biutiful Cauntri, la prima immagine che salta agli occhi, è la munnezza che asfissia tanta parte dell’hinterland napoletano. A me viene in mente un doppio rimando a Pino Daniele, ‘Na tazzulella ‘e cafè e Napul’è precisamente, con riferimento a quest’ultima canzone, quando l’artista napoletano canta”Napul’è ‘na carta sporca, e nisciuno se ne importa.” Ti chiedo: è sempre la stessa storia del potere assente e del “lazzaro felice” (nella sua impotenza)?”

 

 

“Purtroppo sì. Nell’ispezione, per certi versi un po’ maccheronica dei Carabinieri nel sottoscala, c’è l’idea del potere che in buona sostanza tollera l’illegalità. D’altronde, non mi stanco mai di ripeterlo, non dimentichiamoci che, nella realtà, il sottoscala della tragedia è ad appena 100 metri proprio dalla caserma dei Carabinieri di Montesano sulla Marcellana. Assenza del potere, già. Anche in “Biutiful Cauntri” tutti sapevano dei rifiuti tossici intombati nella periferia di Napoli, ma nessuno ha fatto nulla. Anzi, a dirla tutta, è proprio grazie al nostro film che la questione ha assunto eco nazionale e internazionale. Infatti, prima di noi, c’erano stati molti dossier sulle ecomafie di Legambiente; lo stesso Saviano ha trattato, sia pure per sommi capi, l’argomento. Ma è stato solo all’indomani di “Biutiful Cauntri” che si è scoperchiata la pentola maleodorante della questione ambientale in tanta parte della nostra terra. Che poi, a pensarci bene, in tutti i miei film c’è la denuncia, il parallelismo tra l’assenza di potere da una parte e la sopraffazione dall’altra.”

“Andrea D’ambrosio, ma c’è la possibilità che il “lazzaro felice” – di cui sopra – si trasformi finalmente in Masaniello?”

“Secondo me, sì. In “Due euro l’ora”, ad esempio, c’è la solidarietà tra donne che è già di per sé un sintomo di ribellione allo status quo. Gladys (Chiara Baffo), alla fine, si riscatta abbandonando il sottoscala e andando finalmente a lavorare in una fabbrica “ufficiale”. In “Biutiful Cauntri”, allo stesso modo, c’è la consapevolezza che così non si può più andare avanti oltre, ovviamente, alla denuncia di Raffaele Del Giudice.”

“Tu sei principalmente documentarista e, come tale, attento alla verità dei fatti. In “Due euro l’ora” recitano solo attori “veri”, di teatro. In “Biutiful Cauntri”, è vera l’emergenza ambientale così come sono veri i contadini e i camorristi del documentario. Perché questa ossessione per la verità?”

“Perché il cinema, per me, ha sempre avuto come missione la ricerca della verità. D’altra parte, per un regista che viene dalla scuola di Lizzani, di Peppe De Santis come il sottoscritto, non può avere altra funzione che questa. Il cinema italiano, infatti, forse perché sostanzialmente povero, è un mezzo ancora abbastanza libero, a differenza della televisione e dei giornali che sovente rispondono a un “padrone”; proprio per questo, quindi, si può sobbarcare il peso della denuncia. In buona sostanza il cinema, come insegna Francesco Rosi, è il mezzo ideale per denunciare le storture della società.”

“Andrea, gireresti un film come Aprile di Nanni Moretti, e se sì, come rappresenteresti la Sinistra italiana?”

“Oggi sarebbe complicato fare un film su che cosa sia la Sinistra. Francamente, non lo so nemmeno io. Troppa confusione e troppa frammentarietà, senza parlare dei personalismi che da sempre allignano nella Sinistra. Tutto questo, ovviamente, va a vantaggio della destra di Salvini, dei 5 Stelle che, diciamocelo francamente, hanno messo il cappello su molte battaglie della Sinistra.

“Io, per quanto mi riguarda, sono cresciuto in una sezione di partito. Per me le sezioni di partito hanno avuto un ruolo fondamentale nello sviluppo  culturale e politico della società. Quindi, per l’Andrea D’Ambrosio di oggi che è cresciuto col mito di Pietro Ingrao, che considera la parola “comunista” ancora come un valore, è una sofferenza constatare che le due leggi più importanti che la Sinistra avrebbe dovuto fare, quella sulla patrimoniale e quella sul conflitto d’interessi, siano rimaste lettera morta. È logico, quindi, che in un contesto del genere, la (sotto)cultura berlusconiana vada a nozze.”

“Si può ancora oggi fare cinema, arte dal Sud e parlando del Sud?”

“Io penso di sì. È difficile, in questo Paese, fare cultura. Eppure si sta diffondendo sempre di più la bella abitudine di fare cinema territoriale. In altri termini, i film non si girano più a Roma perché le produzioni sono sempre più itineranti. Ci sono numerosi registi che sono espressione del loro territorio. Questa è la scommessa: un cinema che punti alla territorialità, stando però ben attenti a non fossilizzarsi su un singolo aspetto solo perché, magari, è di moda. Occorre dare voce alle tante sfaccettature di un substrato culturale, sempre nel solco della normalità degli eventi perché, in fin dei conti, è proprio la normalità la vera rivoluzione.”

La conversazione con Andrea D’Ambrosio prosegue dopo le fotografie di rito. Ma quello che ci siamo detti spento il registratore, penso che interessi solo a noi.

Da parte mia, ho avuto il piacere di intervistare l’autore di opere a cui “ho voluto bene” fin dall’inizio oltreché (e non era scontato affatto) di conoscere davvero una bella persona.

Al prossimo successo cinematografico, Andrea.

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