17 Febbraio 2016 - 21:16

Attentato ad Ankara: almeno 20 morti e 10 feriti

attentato

Autobomba esplode al passaggio di un pullman dell’esercito turco, a confermarlo è il governatore della capitale.

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Un mezzo militare è stato coinvolto nell’attentato nei pressi di una base militare di Ankara, in concomitanza con una riunione riservatissima e caratterizzata da una sicurezza di alto livello, alla quale avrebbe presenziato il presidente Erdogan. La bomba sarebbe esplosa contemporaneamente al passaggio di un veicolo di trasporto, a poche centinaia di metri dal quartier generale dell’esercito, dunque in un’area non distante dal parlamento e altre sedi istituzionali. Il governo ha inutilmente tentato di impedire la diffusione di notizie sull’attentato, limitandosi a fornire comunicati ufficiali.

Quanto all’accaduto, si parla di auto distrutte, sirene appartenenti alle forattentatoze di polizia, fuoco e una nuvola di fumo nero. Il premier turco, Davutoglu, ha annunciato che le indagini della polizia sull’attentato sono in piena fase di svolgimento, mentre Omar Celik, ministro e membro dell’Akp, ha condannato l’atto di violenza come vera e propria azione terroristica. Una scia di violenza che continua dalla sanguinosa carneficina dello scorso ottobre, in cui persero la vita 103 persone, precisamente nel periodo di nuova ascesa di Erdogan. Il governo ha sempre attribuito con fin troppa certezza la responsabilità dei massacri allo Stato Islamico, tuttavia il mandante resta ignoto e non pochi cittadini gridano alla “strage di stato”.

Gli episodi in questione, (attentato compreso), non destano meraviglia nel governo turco, dal momento che essi non sarebbero altro che la conseguenza di una vivace e belligerante politica estera in Medioriente. Il Paese non è soltanto in guerra (o almeno ufficialmente) contro i gruppi jihadisti, ma anche contro le milizie curde del PKK, le quali sono invece in prima linea nella lotta contro lo Stato Islamico, nonché fautrici di importanti vittorie contro lo stesso, ma anche nei confronti dei curdi degli YPG, sostenuti dagli americani. A ciò si aggiunge la grande impopolarità che la Turchia guadagna quotidianamente nei confronti della popolazione in fuga dalla Siria, la quale lamenta un palese disinteresse turco alla sopravvivenza dello stesso stato siriano. Non meno ostili ad Ankara sono gruppi combattenti quali gli sciiti di Hezbollah, i quali denunciano l’ipocrisia nelle intenzioni turche in merito al sostegno della resistenza di Assad, difendendo strenuamente il governo di Damasco.

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