27 Luglio 2017 - 10:10

Attenzione, vogliono la nostra attenzione

attenzione

L’attenzione, la capacità di concentrarsi per studiare problemi

[ads1]

E’ proprio questo valore, la disamina analitica delle questioni per capirne la genesi, che ci vogliono portare via.

Negli anni 60/70 del secolo scorso, la vulgata, sopratutto di certa sinistra militante, era che la droga, specialmente l’eroina per i suoi effetti maggiormente deleteri, costituiva il cavallo di Troia del capitale: con la droga, le plutocrazie del mondo ottenebravano la mente dei giovani e gli impedivano di acquisire la coscienza di classe per l’assalto al cielo.

Il sistema voleva giovani imbelli, incapaci di prendere atto delle proprie potenzialità. E la droga, appunto, serviva perfettamente allo scopo.

Non disturbare il manovratore, questo era l’imperativo categorico del capitale: l’attenzione della nuova generazione andava sacrificata sull’altare del plusvalore denunciato più di un secolo prima da Marx col suo Il Capitale”.

Veniamo ai giorni nostri.

Niente di nuovo sotto il sole.

WhatsApp

Per certi versi l’alienazione, lo sfruttamento dei lavoratori è simile a quella descritta dal filosofo di Treviri.

Ecco, quindi, riproporsi la necessità di uno strumento in grado di irretire la nostra attenzione e sterilizzare, così, ogni presa di coscienza dello status quo.

Anche nel 2017 c’è la droga, con una indubbia prevalenza della cocaina sull’eroina, ma non mancano le cc.dd. “nuove droghe” addirittura più istupidenti di quelle degli anni 60/70.

Ma vi è dell’altro.

Guardiamoci per le strade e sui luoghi di lavoro.

La nostra attenzione è praticamente monopolizzata dai gruppi di whatsApp (quello della palestra, dei colleghi di lavoro, della scuola dei figli, degli amici del calcetto) che c’impongono, per non uscire irrimediabilmente dal giro, almeno il minimo sindacale di un buongiorno e una buonanotte ogni dì che Dio manda in terra.

C’è poi l’immancabile facebook in cui dobbiamo leggere e postare i pensieri più profondi, le foto dell’ultimo luogo visitato, gli scatti di ogni piega della pancia che ospita Bice e poi di ogni nanosecondo della sua vita, una volta sgaiattolata fuori.

Inoltre, sempre con riferimento al cellulare, abbiamo i selfie (i giovani come nuovi “selfie della gleba“) senza soluzione di continuità che, una volta a casa e spento finalmente il telefonino, ci faranno sorgere qualche dubbio su dove veramente si è stati e sul perché propria quella sera dovrebbe essere diversa dalle altre.

E come non menzionare la pubblicità? Con il suo feticismo della merce crea bisogno e, molto spesso, frustrazione in chi quel bisogno proprio non può soddisfarlo.

Sì, d’accordo, il bisogno non sarebbe veramente tale, ma dopo dieci interruzioni di un film in cui, puntualmente, ci continuano a ripetere che le lenti Calandrino rendono più belli, pure Gennaro Diecidecimi si convince della necessità di acquistarli.

Infine ci sono la playstation con la sua realtà virtuale aumentata e quegli infernali giochini che ogni anno, una volta sì e l’altra pure, ci affibbiano l’animaletto digitale da accudire o ci sguinzagliano nelle intercapedini delle nostre città a caccia di mostri.

Frattanto il capitale, il sistema, la società continuano a viaggiare lungo i binari della loro inesorabile affermazione.

Noi, per quanto ci riguarda, siamo tutti presi a svendere la nostra attenzione ai whatsApp, facebook, pubblicità, playstation e giochini vari .

Se ne faccia una ragione, una volta e per sempre, il pur simpatico Rocco Hunt con il suo tutti dietro alla tastiera/e mo chi ‘a fa ‘a rivoluzione: ogni cosa a tempo debito, dopo il whatsApp a mammà e il selfie con il comico di Made in Sud.

 

[ads2]