24 Febbraio 2016 - 11:37

Bill Gates, Apple ed FBI: la questione é aperta

Bill Gates

Bill Gates affianca FBI conto Apple. Il dibattito si accende

[ads1] FBI ha ammesso, dopo la dichiarazione da parte di Apple, di aver modificato la password dell’account iCloud dell’attentatore il cui telefono é divenuto, da poco, l’iPhone più dibattuto del mondo.

La mossa avventata, si presume, fatta in buona fede, da FBI ha impedito, sostanzialmente ad Apple di accedere ai backup automatico dello smartphone per recuperare i dati ancora non forniti, come già, per altro, fatto precedentemente.

La soluzione sarebbe stata davvero semplice.
Connettere lo smartphone ad una rete Wi-Fi libera o giá conosciuta, attendere l’esecuzione fisica del backup nel cloud, e recuperare i dati.
Fatto il danno, si richiede ad Apple di aprire una porta di servizio, la famosa backdoor di cui tutti parlano oggi, per recuperare i dati che, oggettivamente, ora sono irrecuperabili.

Snowden, noto per Wikileaks, afferma che FBI puó accedere a quei dati senza coinvolgere Apple. La procedura, però, é complessa e rischiosa, richiede perizia e conoscenze tecniche, capacità manuali e competenze non sempre reperibili nello staff di entità governative.

Il Wall Street Journal, infine, accende i riflettori sul rischio, effettivo, connesso alla backdoor. L’agenzia federale avrebbe già tentato l’accesso ad altri 12 iPhone, per motivi non collegati al reato di terrorismo, ma Apple ha più volte glissato sulla collaborazione richiesta per evitare ancora polemiche.

Bill Gates

Bill Gates, d’improvviso, si schiera con FBI, supportato da Huawei. Mentre Microsoft supporta Apple, Gates valuta positivamente l’idea di accedere ai dati su quell’iPhone incriminato, ma solo a quello. Il problema é ben più complesso, perché concedere a terzi, FBI o altri, l’accesso ai terminali iOS, bypassando sostanzialmente tutti i sistemi di protezione implementati da Apple, né invaliderebbe di fatto l’efficacia, e non sarebbe, non essendo controllata da Apple la backdoor, neppure possibile monitorare l’effettivo impiego limitato al caso in questione.

Apple, dal canto suo, ha ovvie e lecite motivazioni di natura economica da difendere. Fornire prodotti sicuri, inviolabili, é un vantaggio non da poco da sfruttare nel mercato agguerrito delle tecnologie di consumo, e non solo!

Il dibattito, quindi, si amplia. Il dubbio resta: quanto vale la privacy di qualcuno? Fino a che limite ci si può spingere per “violarla”? E se il rischio, poi, si amplia alla generalità dei consumatori?

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