18 Dicembre 2015 - 12:00

Capodimonte, un tesoro da salvare

Capodimonte, un tesoro da salvare

Chiunque decida di visitare il Museo nazionale di Capodimonte a Napoli resterà stupefatto sostanzialmente da due cose: il gran numero di capolavori della storia dell’arte europea ivi custoditi e, triste a dirsi, la disorganizzazione che offusca la magia onirica di questo luogo

[ads1] Giungervi non è cosa semplice, soprattutto per uno straniero non avvezzo alla lingua italiana e alle stranezze della nostra nazione; gli autobus diretti dalla stazione centrale al Museo, che pure servirebbero visto che Capodimonte ha rilevanza internazionale, non ci sono e, pertanto, per arrivare alla Reggia è necessario servirsi della metro e di un autobus.

Le opzioni, a seconda che si voglia scegliere la linea 1 o la linea 2, non mancano, ma, senza dubbio, un autobus diretto, preferibilmente contrassegnato dalla scritta “Capodimonte”, gioverebbe tantissimo a numerosi stranieri, spesso anziani, che si addentrano per la città con l’aiuto delle sole cartine.

Una volta giunti a destinazione è impossibile non notare il caos imperante: dalla mancanza di aria condizionata che provoca fastidio ai visitatori e, a lungo andare, danni irreparabili ai quadri,fino alla scandalosa sporcizia disseminata lungo tutto il parco.

Sicuramente la trascuratezza è addebitabile alla carenza di custodi e alla mancanza di fondi, eppure, scrutare un ex parco reale, che dovrebbe essere il biglietto da visita per chi va al museo, ridotto alla stregua d’una discarica non contribuisce a migliorare l’immagine d’una città già di per sé oggetto di critiche e pregiudizi.

Comunque sia, per fortuna il contenuto del Museo lenisce l’immagine di caos e oblio che si ha di primo acchito.

In un unico luogo potrete ammirare miriadi di capolavori, quadri presenti su qualsiasi manuale della storia dell’arte europea, tanto che molti altri quadri, pur apprezzabili, vi sembreranno scomparire dalla vostra memoria, se paragonati alle opere di El Greco,Bruegel, Parmigianino, Goya, De Ribera, Canova, Anguissola, Caravaggio, Masaccio, Tiziano, Gentileschi, Kauffmann e molti altri.

Il Museo è anche una Reggia in cui è possibile vedere ceramiche, mobili appartenuti ai Borbone e una grandiosa collezione di armi.

Nel giro di pochi passi potrete passare dall’apoteosi dell’eleganza ridondante e opulenta incarnata dall’Antea del Parmigianino, la rappresentazione d’una bella ragazza misteriosa (non si sa se sia stata una cortigiana o una nobile) dall’abbigliamento ricco su cui spicca una pelliccia di visone di cui quasi avvertiamo la pesantezza, tanto è dipinta bene, fino all’eleganza diafana ed essenziale del “Ragazzo che soffia su un tizzone acceso” (“El Soplón”) di Doménikos Theotokópoulos , meglio noto come El Greco.

Lo sfondo è dominato dal nero di un’oscurità crepuscolare; l’unica luce scaturisce dal tizzone ed illumina parzialmente la figura del ragazzo. Sembrerebbe un quadro estremamente semplice, eppure, l’emozione che si prova guardando questo piccolo quadro è grandissima. Il contrasto fra luce ed ombra lo avvicinerebbe ad un Caravaggio, ma la magia che ne deriva, quasi ipnotica ed irreale, è di ben altra natura.

Parabola dei ciechi di Bruegel

Parabola dei ciechi di Bruegel

Questo museo, comunque, anche nella scelta dei quadri sembra ben esprimere la dicotomia dell’essere umano, un essere intimamente scisso fra bellezza ed orrore.

Qui, infatti, aldilà di opere che raffigurano l’apparente bellezza delle persone, vi sono anche opere in cui l’autore riesce a cogliere tutta la mostruosità e l’ipocrisia dell’uomo. Due dei massimi esempi, in tal senso, sono “Il Misantropo” e “La parabola dei ciechi”, entrambi di Bruegel.

L’artista fiammingo ci restituisce l’immagine di esseri grotteschi, con labbra serrate in ghigni forzati ed inquietanti, occhi assenti o, nell’unico caso dell’uomo-mondo, spregevoli e cupi.

Dunque, un orrore estremo, come non lo abbiamo visto neppure nei numerosi quadri in cui il genio fiammingo ritraeva, come Bosch, demoni dalle fogge più bizzarre intenti a punire gli uomini in modi crudeli e creativi.

Qui l’orrore è estremo perché non vi è nulla di irreale ma, anzi, è la realistica presa di coscienza che tutta la mostruosità derivi dall’uomo, dal suo agire, non da creature alate o soprannaturali.

L’epilogo in entrambi i quadri è amaro. Nella parabola del cieco che guida i ciechi ciascuno segue fedelmente, come in una processione di sciocchi, il suo leader, fino a cadere inesorabilmente nel baratro.

Nel Misantropo il vecchio eremita vestito a lutto crede d’esser al sicuro, ma un uomo contenuto in un globo (metafora del mondo) gli sta rubando la sua borsa a forma di cuore, simbolo degli “altri” che, essendo malvagi, finiscono col portar via qualsiasi fiducia nel genere umano. [ads2]