18 Febbraio 2017 - 13:47

Ciaspole e ceci sui pianori del Panormo

ciaspole

Con ciaspole ai piedi e ceci e alici nella pentola, ci godiamo la neve a ritmo lento passeggiando sui pianori del Panormo fino al suo Rifugio

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“Gli Alburni danno l’idea delle nostre Alpi e la natura vi ha collocato tutte le meraviglie di quei maestosi monti: nevi eterne e rilucenti ghiacciai, dormienti tra le rupi, crepacci spaventevoli, insidiose cascate biancheggianti di spuma, grotte inestricabili, torrenti che s’ingolfano sabbiosi: orrori scenici, bellezze senza numero e senza fine”.

Così scriveva C. Parola nel suo testo del 1888 “Peregrinazioni storiche nel territorio dei Lucani” descrivendo gli Alburni, “bellezze senza numero e senza fine” dove oggi siamo ospiti, invitati con ciaspole ai piedi e di “bianco” vestiti.

In bianco – albus – come bianche sono le vette innevate che resistono tutto l’inverno e bianche le rocce calcaree dei monti, del cui candore si accorsero già gli antichi viandanti battezzandoli con un nome che ci ricorda nell’albedine l’albume dell’uovo.

Sono le nostre Dolomiti campane che con 23 km di lunghezza e 10 km di larghezza, ospitano gli Outdoorini in ogni stagione, talvolta tra grotte e inghiottitoi, talvolta sulle vette e lungo le creste, innumerevoli volte alla propria tavola con i loro rinomati prodotti.

Invitati anche oggi ad un ruspante banchetto, entreremo dalla porta d’ingresso del rifugio Panormo, dopo una lunga passeggiata “lattea” sui pianori del “monte Alburno”.

Si parte da Ottati, uno dei 12 borghi cilentani arroccati alle pendici del massiccio, che conserva come gli altri le caratteristiche delle sue origini medioevali: un nucleo di case aggrappate alla roccia che sorgono “azzicc azzicc” a 530 m slm, da cui gli occhi dei tetti rossi e quello grande del campanile controllano tutta la valle sottostante.

Si tira col pulmino fino a quando la strada lo permette. La neve ci lascia passare fino ad oltre la località Pozzi, poi è il momento di indossare le racchette da neve ai piedi, le ghette ai polpacci e iniziare i nostri 7 km di ciaspolata.

Passeggiamo sui pianori del Panormo, la più alta vetta degli Alburni, dove proseguiremo lungo un corridoio bianco e pianeggiante a media altitudine, fino a giungere alla conquisa del nostro “cecio” caldo.

Oggi non avremo grandi dislivelli, né saliremo su alcuna vetta, ma passeggeremo numerosi quali siamo sul tappetto di neve candida e compatta, sotto gli alberi di faggio che segnano il percorso e ci raccontano storie di legnaioli e carbonai alle prese con questi magici tronchi.

Oggi passeggeremo senza correre e senza l’obiettivo della cima, senza concentrarci solo su panorami mozzafiato e senza troppi sforzi. Oggi ci godiamo il silenzio della neve intorno attenti ad ascoltare i nostri passi mentre camminiamo insieme.

Ci guardiamo i piedi mentre racchettiamo: le nostre ciaspole sembrano animali buoni dai grandi denti che mordono allegramente la neve sotto, ad ogni nostro passo. Sono barche tonde sulle quali “galleggiamo” senza affondare. Sono piccoli motori che ci fanno camminare goffamente, quasi a gambe divaricate, come su una moto che ci fa sgommare senza farci cadere.

Anche i nostri antenati dovevano sembrare dei robot quando, migliaia di anni fa, indossavano i primi rudimentali modelli di ciaspole, pensati come supporto per affrontare le montagne innevate. Già 10.000 anni fa cacciatori e raccoglitori nelle aree innevate del mondo, per ampliare il raggio coperto dai loro passi, costruirono piastre di legno da intrecciare ai piedi e poi supporti di pelliccia e pelli.

Non osiamo immaginare come camminassero.

Andiamo a caccia di dettagli da fotografare e di impronte di animali veri. Che sia il lupo o la lepre, in mezzo a questo bosco la vita prosegue anche nella stagione del gran freddo.

Ci viviamo la magia della montagna lentamente. Meditiamo, siamo sobri e di buon umore, respiriamo a pieni polmoni lontano dalla strada, ci disintossichiamo dai pensieri negativi, sveliamo la natura a impatto zero e riscopriamo un percorso consueto che sotto i giochi di luce della neve ci appare sempre nuovo.

Nelle giornate Outdoor la natura ci aiuta con il suo potere a vedere il mondo con i ritmi lenti dei nostri passi.

E ridiamo allegramente sotto i baffi perché ci aspetta oggi un bottino fumante.

Ed eccoci in località Campofarina, dove, a 1340 s.l.m. immerso nella secolare faggeta che ci ha ospitati, ci aspettano Pasquale e il suo Rifugio Panormo in compagnia del cecio di Leo-Cracco.

Costruito negli anni ’50, questo rifugio doveva servire come ricovero per i mandriani, i boscaioli o per quant’altri abitassero il bosco per lavoro, non potendo far ritorno ogni sera nelle proprie abitazioni.

Oggi, il rifugio servirà a noi per ristorarci davanti al fuoco, tra bicchierozzo di vino e rum birichino.

Gli Alburni, hanno caratteristiche climatiche e ambientali tali da rendere genuino non solo quanto viene prodotto sulle queste terre, ma anche tutto quanto viene mangiato.

Alici di Cetara e ceci di Cicerale. Acqua di cottura dei ceci per cuocere la pasta, aglio e sedano per insaporire il tutto e fuori dal pentolone l’ingrediente segreto della buona compagnia. La neve fuori dal rifugio e il calore del legno dentro. Candele sul camino e cioccolato fondente sulla tavola. Risa genuine sulle nostre bocche e pampero in libera uscita nelle nostre teste.

Anche se “in bianco”, la ceciociaspolata ci piace assaje.

“Nevica. Ed è tutto così, lento, sinuoso, elegante, delicato, soffice, così. Lindo.”
– Anonimo –

 

 

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