3 Ottobre 2017 - 16:18

“Death Note”: perché il film di Netflix è un flop

Dopo un lungo periodo di riprese, Death Note è in streaming a partire dallo scorso 31 Agosto su Netflix, che ha lasciato non poco delusi gli accaniti fan della serie

Risulta alquanto difficile riportare sullo schermo le vicende di storie e personaggi legati al mondo dei fumetti e dei manga, un compito arduo che rischia costantemente di far sprofondare nel ridicolo delle storie che invece sono state acclamate dal grande pubblico nerd e non nei primi anni duemila, ma che inevitabilmente saranno i giudici severi ed attenti di serie ed episodi la quale esperienza è già consolidata negli anni.

Impresa ardua ma non impossibile, anche se rischiosa. Ma questo film proprio non convince per una serie di validi motivi e risulta un live action fallimentare e decadente. Il regista Adam Wingard sembra lui stesso non essere convinto della storia, tra scene che si susseguono velocemente, con un incedere affrettato, quasi a voler trarre subito le conclusioni e richiami al cinema anni ’80. Ma si sa benissimo, almeno per  chi ha letto la serie, che ciò che ha reso Death Note uno dei manga più famosi e venduti di tutti i tempi, grazie alla geniale creazione scritta da Tsugumi Ora e disegnata da Takeshi Obata, è proprio il progredire lento e complesso degli eventi e la riflessione da essa scaturiti – ovvero “cos’è la giustizia?”

La storia

Light Yagami è uno studente modello e un ragazzo brillante, vive a Tokyo e frequenta il liceo. Un giorno per caso uno strano quaderno dalla copertina nera gli cade quasi sulla testa, il Death Note, dotato di strane regole scritte all’interno di esso, e con il quale si possono uccidere le perone, scrivendo semplicemente il loro nome su una pagina a caso del quaderno.

Light è incredulo ma viene spinto a provare il potere del Death Note dallo Shinigami Ryuk, ovvero un dio della morte secondo la mitologia giapponese, proprietario del quaderno che ha deciso di divertirsi un po’ mettendo in difficoltà i possessori del quaderno, tra cui Light che si eleva a divinità e decide di attuare la giustizia uccidendo chiunque avesse commesso un crimine o fosse colpevole di reati. Ma la trama si sviluppa intorno alla battaglia tra lui e L, l’investigatore al quale è stato affidato il compito di scoprire l’identità di Kira-Light, tra colpi di scena e riflessioni sulla morale e l’etica.

 

Ma il film di Wingard appare come un teen-movie (stile Thirteen Reasons Why  per intenderci), che conserva ben poco della trama originale, e dalla stessa riflessione verso la quale conduce il manga. Un thriller non riuscito per varie ragioni. La prima è sicuramente  l’occidentalizzazione dei protagonisti, che risulta incredibilmente forzata e fuori luogo, un nonsense, visto che il manga è completamente ambientato a Tokyo e la vita dei protagonisti si sviluppa in Giappone.

La seconda è la scelta del cast: Nat Wolff, interprete di Light Turner, è decisamente insopportabile con la sua interpretazione svogliata e poco accattivante, sembra che l’attore abbia a stento letto il manga o sia annoiato del suo stesso personaggio, e il risultato è un Light per nulla convincente e coinvolgente. Misa Amane, la Gotic Lolita della storia, è interpretata da Margaret Qualley, che a tratti sembra convincere nei panni della ribelle Mia, personaggio molto distante da quello originale, in quanto risulta poco meno sottomessa ma più vicina ad una bad girl adolescente che vuole divertirsi con il suo nuovo fidanzato.

Altra nota dolente e a sfavore della pellicola, è il malriuscito personaggio di Ryuk che forse è il più imbarazzante elemento di essa, per via della bassa qualità del design e del pessimo effetto tridimensionale del mostro, che è però doppiato dal bravissimo attore Willem Dafoe, elemento a favore del film, dato che perlomeno riesce a dare un po di spessore al personaggio.

La nuova trama dunque conserva ben poco della storia originale, ma il difetto vero e proprio non è il non restare fedeli all’originale, ma cercare di rimanerne fedeli senza che traspaiano i temi fondamentali del manga: il sottile equilibrio tra Bene e Male, due facce della stessa medaglia, rappresentate rispettivamente da L e Light, giustizia sociale e giustizia personale. Ma quest’ultima  può realmente essere definita tale? Quanto è sottile la linea che divide giusto e sbagliato? Chi crea la giustizia? Queste riflessioni ed altre possono solo sorgere in mente leggendo il manga originale della serie e purtroppo non guardando il film , che a riguardo ha da dire ben poco.

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