14 Febbraio 2017 - 16:57

Cosa vediamo al cinema quando parliamo d’amore

I tre film d’amore più anticonvenzionali da godersi a San Valentino

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Se per voi nell’aria non c’è San Valentino, ma solo azoto, ossigeno e anidride carbonica, non preoccupatevi perché il 14 febbraio può significare, paradossalmente, opportunità. Ma non pensate male. L’opportunità è di una visione non per forza sdolcinata e molto meno impegnativa rispetto alla prenotazione di un tavolo in ristoranti dai prezzi faraonici pur di abbordare come se fosse l’ultimo giorno della loro vita.

Oggi per gli innamorati, che si tratti di coppie consolidate, amori platonici o amanti, consigliamo tre film d’amore nostrani, non necessariamente a lieto fine.

Boy meets Girl (1984)

Un giovane aspirante regista, che passa il tempo a formulare titoli di film che non realizza, si innamora di una ragazza con tendenze suicide in tre fasi distinte: prima, attraverso la sua voce al citofono, poi vedendola sulla riva della Senna e infine a una festa dove i due iniziano a parlare. Entrambi accomunati dal fatto di esser stati da poco abbandonati dal rispettivo partner. Sbalorditivamente fotografato in bianco e nero da Jean-Yves Escoffier, è il film sicuramente meno consigliato per una coppia in preda all’adempimento quasi massonico del concedersi “un film a lieto fine”. I single dopo averlo visto, avranno molta voglia di non fidanzarsi e non sperimentare rapporti inter-personali che vanno oltre la confidenza tra un cliente e una cassiera. Che alla fine è anche più romantico di questo film.

Boy meets Girl è l’opera prima di un autore che ben presto diventerà uno dei più grandi registi del cinema francese e mondiale: Leos Carax. Opera epilettica tra “vecchio” e “nuovo”, tra un romanticismo perdente tutto francese e l’avanguardia americana, le cui radici sfrontate sono da attribuire al favoloso mondo della Nouvelle Vague di Truffaut e Godard. Opera intellettualistica apparentemente vicina a Woody Allen, ma ancora più egocentrica, più pessimistica, a tratti mitomane, cervellotica e visionaria, ricca di una grande atmosfera mortifera, carica di sconforto e di tragico.

Somewhere (2010)

Johnny Marco è una famosa star del cinema americano che vive nel leggendario Chateau Marmont. Le sue giornate sono occupate da alcol, donne, macchine veloci e folle di fan. Rinchiuso nel mondo artificiale dello spettacolo Johnny perde il contatto con la realtà fino a quando non si trova a doversi prendere cura della figlia undicenne Cleo. Col passare dei giorni Johnny si renderà conto che esiste anche un’altra vita oltre a quella della star, e alla fine al momento di doversi separare da Cleo dovrà affrontare la solitudine.

Quando si parla d’amore non ci riferiamo solo al sentimento che lega coppie di innamorati ma anche ad un’amicizia o al legame tra padre e Figlia. E’ questo che fa Sofia Coppola, autrice a tutto tondo, grande talento tutto ereditato da suo padre, Francis Ford Coppola. Somewhere parla di un uomo poco maturo e di una “donnina” geneticamente padre e figlia ma estranei di un rapporto consolidato. Grandi momenti di intensità emotiva, due personaggi che si confrontano per la prima volta, specchio-riflesso di una solitudine strabordante. Ricorda tanto il suo cinema passato, Sofia Coppola, prende prepotentemente tematiche da “Marie Antoinette” e “Lost in translation”, per entusiasmarle, forse, con una speranza prossima alla felicità e al cambiamento.

The Brown Bunny (2003)

Il viaggio di Bud Clay, anima persa, travagliata da un amore finito male, comincia nel New Hampshire, dove ha appena concluso una gara motociclistica. Da lì l’uomo parte con il suo furgone per Los Angeles, e lungo la strada incontrerà tre donne che però non riusciranno a liberarlo dalla sua ossessione per Daisy, la ragazza che ha amato fin dall’infanzia.

Al suo secondo film, Vincent Gallo, artista esuberante e narcisista, produttore, attore, montatore e sceneggiatore dei suoi film, racconta del tentativo di superamento di un passato oscuro e taciuto con cui non si vorrebbe fare i conti. Molto più fragile di quanto si creda, il protagonista silenzioso, si lascia andare al suo destino diffidente e troverà la necessità di un confronto con la presenza “inorganica” del suo unico amore morto anni prima, in una scena tanto auto-referenziale quanto estrema, quella di una fellatio “funebre” e “luttuosa” ( l’orgasmo ha tutti i sintomi di una purificazione dal dolore illusoria) in cui si confronta con l’impossibilità dell’amare a la perdita senza riparo.

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