2 Giugno 2017 - 17:48

Divorzio: la sua storia e i nuovi parametri verso la parità di genere

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Divorzio: in seguito all’approvazione di nuovi parametri in materia di assegni di mantenimento, si parla della sua storia e delle sue implicazioni culturali

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E’ di poco tempo fa la notizia di nuovi parametri in materia di assegno di divorzio: la Cassazione ha infatti stabilito che conta il criterio dell’indipendenza o autosufficienza economica, non il tenore di vita goduto nel corso delle nozze per l’assegno divorzile dato al coniuge che lo richiede. Sposarsi, scrive la Corte, è un atto di libertà e autoresponsabilità.

Questo è un passo avanti molto importante in tema di matrimonio e divorzio. L’uomo assume finalmente il suo ruolo di persona che può avere delle fragilità al pari della donna che nel frattempo viene riconosciuta come essere umano in grado di provvedere per sé. Il parametro del tenore di vita goduto durante il matrimonio non è stato più ritenuto un orientamento attuale: con la sentenza di divorzio, osserva la prima sezione civile, “il rapporto matrimoniale si estingue non solo sul piano personale ma anche economico-patrimoniale, sicché ogni riferimento a tale rapporto finisce illegittimamente con il ripristinarlo, sia pure limitatamente alla dimensione economica del tenore di vita matrimoniale, in una indebita prospettiva di ultrattività del vincolo matrimoniale”

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Festeggiano in questo senso le Associazioni per i padri separati. Negli ultimi tempi è stato infatti molto discusso il disagio fino ad ora ignorato dei padri divorziati, alcuni dei cosiddetti “nuovi poveri”. Per raggiungere l’uguaglianza di genere è importante porre sullo stesso piano un uomo e una donna nel contesto matrimoniale, sempre per tutelare i minori, qualora ce ne fossero. E’ dunque fondamentale che si riconosca ai coniugi la dignità di persone, senza distinguere fra ipotetici “deboli” e “forti”.

“Secondo i giudici – scrive il presidente degli avvocati matrimonialisti Gian Ettore Gassanil’assegno divorzile può essere riconosciuto soltanto se chi lo richiede dimostri di non poter procurarsi i mezzi economici sufficienti al proprio mantenimento. Viene spazzato via un principio sancito nel 1970 dalla legge 898 che ha introdotto il divorzio in Italia. Si tratta quindi di un terremoto giurisprudenziale in linea con gli orientamenti degli altri Paesi europei nei quali l’assegno divorzile dipende essenzialmente dai patti prematrimoniali”.

L’iter storico del divorzio

Le leggi variano considerevolmente in tutto il mondo. Il divorzio è stato legalizzato dal 1970 in diversi paesi tra cui Spagna, Italia, Portogallo, Repubblica d’Irlanda e Malta. Ad oggi solo le Filippine e Città del Vaticano non possiedono nei loro ordinamenti una procedura civile simile.

In Italia, grande sostenitrice del divorzio è stata Loris Fortuna, deputato socialista che ha sostenuto e vinto la battaglia conclusasi con la legge sulla “Disciplina dei casi di scioglimento di matrimonio”, approvata nel 1970. Questo è sintomo di quanto nel mondo e particolarmente in Italia, la norma sia stata fortemente desiderata soprattutto dalle donne, spesso intrappolate in matrimoni non voluti, non sani o di fatto finiti.

In molte giurisdizioni occidentali, il divorzio non richiede che una delle due parti debba far valere le responsabilità dell’altra per arrivare alla dissoluzione dell’unione. Prima di ciò, una delle due parti doveva dimostrare una responsabilità causale del partner, come l’abbandono, la crudeltà o l’adulterio. Per una donna, dunque, era difficile poter ottenere il divorzio qualora non fosse riuscita a dimostrare la “colpevolezza” del partner e il buon esito della separazione non era dunque affatto scontato.

Aspetti culturali

Ai tempi della discussione sulla legge, il femminismo chiedeva di partire dalla supposizione di una condizione materiale di sfruttamento della donna nel matrimonio per capire fino a che punto il divorzio potesse incidere su di lei. Per le donne, si denuncia, una volta ottenuto il divorzio, la dipendenza dagli alimenti (incerti) dell’ex marito era l’unica prospettiva economica possibile. C’è certamente da sottolineare che con il tempo la situazione è cambiata sia per le donne che per gli uomini. La legge ha fatto affidamento su una presunta superiorità e maggiore stabilità maschile troppo a lungo: il mantenimento di una famiglia ha portato una buona parte dei padri separati d’Italia a vivere in macchina.

E se la giurisprudenza ha compiuto dei passi avanti in termine di parità fra generi, è anche vero che la società potrebbe non essere sulla stessa lunghezza di passo. Dopo il divorzio sono tantissime le donne che si trovano senza alcuna fonte di reddito e altrettanti sono i padri che mantengono la famiglia avvalendosi esclusivamente del proprio stipendio. Qualora le ex mogli avessero un lavoro, a parità di ruolo le donne guadagnano comunque il 10,9% in meno degli uomini. Madri e padri sono dunque economicamente delle vittime di un sistema che desidera la parità e crede di averla raggiunta senza aver effettivamente osservato la vita di tutti i giorni. E’ più che mai importante che giurisprudenza e cultura comune vadano di pari passo per garantire sicurezza anche nel divorzio sia al padre che alla madre. Questo è importante per garantire in ultimo anche la tutela di alcuni dei protagonisti meno considerati durante una separazione o, perché no, durante un matrimonio: i minori.

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