28 Settembre 2015 - 10:34

Federico Buffa al Teatro Quirino, il grande balzo

L’esordio a teatro di Federico Buffa e il racconto delle Olimpiadi di Berlino 1936. La recensione di una storia che vale la pena raccontare

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Succede che ci si trovi ad esprimere giudizi, opinioni, guardare le cose a compartimenti stagni. La letteratura, la storia, il teatro, l’arte. Il calcio, per tanti un turbinio di emozioni, per altri gente che sgomita dietro un pallone che rotola a destra e manca. Succede che ci si ricreda, ascoltando uno che racconta una storia che è storia, letteratura, teatro, calcio e arte, tutto insieme.

Trattasi di Federico Buffa, uno che catalizza l’attenzione del mondo sportivo nel piccolo schermo col carisma dell’oratore e la musicalità del cantastorie. Uno dal tono inconfondibile, flemmatico e incalzante al tempo stesso.

Succede che dal piccolo schermo, Federico Buffa te lo ritrovi una sera al Teatro Quirino, a Roma. Un salto notevole, pericoloso per certi versi. Ti accomodi in poltrona e subisci il racconto delle Olimpiadi di Berlino del 1936.

Federico Buffa al Teatro Quirino, il grande balzo

Federico Buffa al Teatro Quirino, il grande balzo

All’apertura del sipario, una scena minimalista: un pianoforte, un paio di tavoli, una bottiglia, un appendiabiti e l’idea di un locale dimenticato da Dio. Buffa entra, lentamente, in un silenzio surreale. Toglie cappotto e cappello, si accomoda, senza nessuna fretta. Trascorre qualche secondo, immobile, un invito più o meno implicito a sospendere ogni pensiero ed ascoltare. Diventa Wolfgang Fürstner, comandante del Villaggio Olimpico di Berlino, e prende a raccontare. Con lui sul palco, i musicisti Alessandro Nidi, Nadio Marenco e Cecilia Gragnani, perfetti nel tessuto della narrazione. Alle sue spalle, le immagini del film girato in quei giorni febbrili da Leni Riefensthal, un capolavoro di definizione per l’epoca.

Il monologo di Federico, articolato in due atti, è teatro, nè più nè meno. Ha una solennità nuova, ispirata dalla consapevolezza di occhi che lo fissano, per la prima volta, senza filtri.

La musica interviene, a incastro, quando il comandante Fürstner si ferma, fisicamente. Sembra invitare alla riflessione, ad assimilare le parole e coglierne il delirio. E la platea pende, letteralmente, dalle labbra dell’attore.

Partecipa al racconto della pagina bella e tragica che fu Berlino ’36. La macchina perfetta dell’organizzazione tedesca, eppure la sconfitta dell’idea della supremazia della razza. Il podio di Jesse Owens, afroamericano, che più distante dal prototipo del biondone ariano non avrebbe potuto essere. La dignità di Sohn Kee-Chung, medaglia d’oro nella maratona, e quell’alloro usato durante la premiazione, per coprire la bandiera giapponese cucita a forza sul petto, il peggiore degli insulti per un coreano.

Buffa racconta, con omogeneità, più e più storie. Aneddoti, dettagli o semplici riflessioni. Porta a teatro lo sport, la musica, la storia. Accenna alla filosofia, con riferimenti sul tempo, sull’uomo e l’apparenza delle cose –l’involucro di cartapesta. Lo fa con lo stile che gli è proprio, semplice e appassionante.

Un esperimento che porta al Quirino anche i giovanissimi e ne ha per tutti i gusti. Un paio d’ore di sospensione del giudizio e ripensamento dei compartimenti stagni. La prova tangibile che lo sport è una forma d’arte meravigliosa, una storia che vale sempre la pena raccontate. Se la racconta Buffa, poi, è un’altra cosa.

Ben fatto, Federico.

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