9 Marzo 2017 - 15:30

Feud: Bette and Joan 1×01 – recensione

feud

Due attrici talentuose, una sola luce al centro della scena. Questo e molto altro è Feud: Bette and Joan, serie che dal pilot promette faville

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Feud: Bette and Joan è l’ultima di una linea di serie antologiche che si rivolgono specificamente agli interessi del creatore e produttore, Ryan Murphy. Questa serie è stata attesa spasmodicamente, sia perché sceneggiata dal genio del male precedentemente citato, sia per il ritorno sulla rete televisiva FX della meravigliosa ed iconica Jessica Lange, protagonista delle prima quattro stagioni di American Horror Story, altra serie di Murphy.

La trama

La storia ruota attorno al rapporto antagonistico sviluppatosi tra Bette Davis (Susan Sarandon) e Joan Crawford (Jessica Lange) a partire dalle riprese di “Che fine ha fatto Baby Jane?“, vicenda affascinante e molto chiacchierata nella Hollywood di quegli anni. Quello che il primo episodio sembra implicare è che si tratti soltanto di una generale, quanto magistrale, introduzione. Dopo che Joan Crawford perde ai Golden Globes e si rende conto che la sua carriera è ormai indirizzata verso una direzione di discesa, la donna si trova faccia a faccia con il suo potere in dissolvenza, sia come stella che come persona. Sarà la stessa truccatrice della donna ad affermare che: “Gli uomini di una certa età acquistano carattere, le donne di una certa età, invece, si perdono“. Ed è con questa premessa che la puntata ci introduce agli eventi.

Particolarmente godibili risultano l’assaggio al trattamento delle donne nel sistema della vecchia Hollywood, di come esse abbiano lottato (e continuino a farlo ancora oggi) per  ottenere altri ruoli dopo aver raggiunto una certa età, nonché di come la società di quel tempo nel suo complesso trattasse le donne. Questo non è assolutamente uno sviluppo sorprendente, considerando la propensione di Murphy ad affidare ruoli predominanti ad attrici come la Lange, Frances Conroy, Jamie Lee Curtis, Kathy Bates e Angela Bassett nei suoi show precedenti. Questa volta, però, non si tratta di una vicenda fittizia,  bensì dell’approfondimento e dell’esplorazione dell’argomento, utilizzando due delle più grandi icone recitative di tutti i tempi.

Le superlative prove delle due stelle

Suscita l’interesse del telespettatore vedere analizzate storie vere ed apocrifi: gli innumerevoli sforzi della Crawford per ottenere il proprio volere, la Davis che sostiene di aver coniato il termine “Oscar” per un Academy Award, la scelta della medesima di indossare per il film la stessa parrucca precedentemente usata della sua collega. Tutte chicche che non possono che far piacere ai veri fan delle attrici descritte nei minimi particolari.

La vera profondità della serie emerge, però, negli elementi tematici e le interpretazioni della Lange e la Sarandon: guardare Crawford e la sua assistente Mamacita (Jackie Hoffman) setacciare ogni singolo romanzo sotto mano pur di trovare un buon ruolo femminile, assistere alla lotta per permettere al film di prendere vita, è stato impressionante. Una volta trovato il regista perfetto nella figura di Robert Aldrich (Alfred Molina), la lotta continua per ottenere una casa cinematografica che acquistasse il prodotto, fino al non facile acquisto da parte della Warner Brothers Pictures. Qui viene introdotto il personaggio di Jack L. Warner, intelligentemente interpretato da Stanley Tucci,  viscido e sessista più che mai: la prima cosa che chiede ad Aldrich è se avesse dormito con una della due attrici.

La scena clou

Una volta iniziate le riprese, lo show ci mostra molte grandi scene. Una delle scene migliori, sfacciatamente provocatoria, è senza dubbio la rivelazione del trucco di Bette Davis per il suo ruolo. Essa viene presentata come una grande rivelazione, e come tale viene meritatamente rappresentata. Altra scena iconica è sicuramente quella dell’arrivo di Joan Crawford sul set il primo giorno: la donna dona ad ogni membro del cast un regalo ed un saluto personale, con volto convinto e saccente. Interessante vedere quanto queste donne dovessero donare anche fuori dal set per essere accettate ed apprezzate sullo schermo, in perfetto stile hollywoodiano, soprattutto quando si è di sesso femminile.

L’episodio di Feud si conclude con le due stelle che si presentano per la cena a casa di Hedda Hopper (Judy Davis), la famigerata giornalista di cronaca rosa. Le due donne riescono a fingere perfettamente un atteggiamento amichevole durante la  promozione del film, ma i loro problemi personali e il risentimento professionale sono un vulcano sotto la superficie. Inevitabile è, infatti, lo scontro tra le due, all’interno di una società che prevede solo la luce di una celebrità. Come Hopper dice in una scena: “Gli uomini costruiscono il piedistallo, tesoro, non io. C’è spazio solo per una dea alla volta.”

Il verdetto finale

Non avete ancora visto il pilot di Feud? Correte a farlo! Il problema di questa serie rispetto ad American Horror Story o American Crime Story è la specificità della stagione. È molto più facile sapere se vi piace l’orrore o crimine rispetto al vago concetto di ‘feudo’. Fortunatamente, Murphy è riuscito (almeno in questo episodio iniziale) a renderlo tutto fuorché poco interessante. Tra momenti goffi e ad altri estremante tragicomici,  combinato ad design di produzione on-point e alle prestazioni stellari del duo Lange-Sarandon, la serie è destinata ad intrattenere chi guarda in maniera impeccabile per otto, imperdibili, episodi. 

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