30 Gennaio 2016 - 19:20

Dov’è finito il ddl 1148, presentato nel 2013?

Il ddl 1148 meglio conosciuto come “disegno di legge per l’Istituzione del reddito di cittadinanza nonché delega al Governo per l’introduzione del salario minimo orario” è stato presentato al Senato nel 2013

[ads1]«Nessuno deve rimanere indietro!» così iniziava la lettera letta in aula da i firmatari del ddl 1148, che il M5S aveva provveduto a pubblicizzare come il proprio cavallo di battaglia. Dal 23 giugno del 2015 è stato assegnato alla Commissione Lavoro di Palazzo Madama. Il 7 gennaio 2015 fu stabilito che il suo relatore sarebbe stato Annamaria Parente (Pd).  Di lì alla formazione di un comitato ristretto, che si è riunito anche di recente, una volta acquisiti i documenti, tra cui quelli dell’Istat [QUI].

Il testo di legge racchiude una serie di servizi essenziali che il welfare negli ultimi anni non è riuscito a garantire: contrasta la povertà, la disuguaglianza e l’esclusione sociale, vuole garantire il diritto al lavoro e la sua libera scelta, intende favorire e tutelare il diritto all’informazione, all’istruzione, alla formazione, nonché alla cultura, mettendo in campo politiche finalizzate al sostegno economico, considerando un aspetto importante quale l’inserimento sociale di tutti i soggetti in pericolo di emarginazione sia nella società che nel mondo del lavoro.

Nel corso del 2015 anche altre realtà hanno espresso parere favorevole nei confronti del reddito minimo di cittadinanza: Sel e la Minoranza Pd hanno proposto a loro volta delle interpretazioni.
Il problema resta l’economia: la vulgata, infatti, sostiene che il modello sociale europeo, cioè quello in cui vige un’alta protezione nel mondo del lavoro, in cui è concepito un salario minimo e dove il lavoro veniva tutelato dalla figura delle organizzazioni sindacali (tra qualche anno forse nessuno ricorderà che anche in Italia funzionava così), sia responsabile per l’elevato tasso di disoccupazione.
Dov'è finito il ddl 1148, presentato nel 2013?Esistono però delle eccezioni. La Danimarca riesce a far coesistere un efficiente apparato in materia di previdenza sociale e un basso tasso di disoccupazione, sostenute entrambi dalle leggi nazionali. Qui, come scrive Michele Tiraboschi (Università di Modena e Reggio Emilia) il 90 per cento delle persone che rientrano nel campo di applicazione sono iscritti a una cassa per l’assicurazione contro la disoccupazione e i contributi sono soltanto a carico del lavoratore che è iscritto alla cassa.
…per i primi mesi di disoccupazione al lavoratore è garantita la possibilità di accettare un lavoro solo corrisponde alla sua esperienza professionale, mentre in seguito questo non è più garantito è il lavoratore deve accettare anche lavori che comportano una modificazione della mansione da lui abitualmente svolta. Peraltro si ritiene che tale modifica del criterio funzionale in relazione all’accettabilità di una occupazione abbia contribuito alla riduzione della disoccupazione dal 1994“.
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