8 Marzo 2015 - 12:59

Nella “Grande Democrazia”: gli USA e il razzismo

Il 7 marzo negli Stati Uniti è una data che non si può dimenticare; nel 1965 si assiste, infatti, a uno dei più grandi atti di razzismo della storia americana

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Nella città di Selma (Alabama) centinaia di manifestanti pacifici in marcia per i diritti civili, furono letteralmente attaccati, senza alcuna motivazione, dalla polizia unita a un gruppo di volontari locali.

Decine di persone rimasero ferite in quella occasione, tanto che si ricorda il giorno con il nome “Bloody Sunday”.

A cinquanta anni da quell’episodio l’America non sembra ancora aver cambiato, purtroppo, rotta.

A Madison, capitale del Wisconsin, un diciannovenne (totalmente disarmato) è stato brutalmente sparato da un agente di polizia locale.

Il Dipartimento di polizia non ha reso noto il nome del ragazzo (pare si tratti di Tony Robinson, giovane del luogo), ma ha subito difeso, come succede troppo spesso, il poliziotto coinvolto.

razzismoAnche in questo caso l’episodio ha scatenato l’ira della popolazione che, riunitasi sul luogo, ha più volte accusato la polizia di aver sparato a una persona disarmata.

Quello di Madison è soltanto l’ultimo di una serie di atti, compiuti di solito dalla Polizia, nei confronti di cittadini americani di colore, che ha portato la più grande democrazia del mondo indietro nel tempo.

Più volte, inoltre, l’atteggiamento degli agenti locali rimane impunito e la questione risolta con la repressione delle proteste nate a seguito dei fatti.

In questo contesto si ricolloca anche la cittadina di Ferguson nel Missouri.

Proprio in questo periodo (4 marzo per la precisione) il Dipartimento di Giustizia statunitense ha diffuso due rapporti relativi al Dipartimento di Polizia locale, divenuto famoso per gli atti di razzismo compiuti dagli agenti.

Il Dipartimento di Giustizia è giunto alla conclusione che nella Polizia sono presenti forti problemi di razzismo, che hanno reso l’ambiente “Tossico e velenoso”.

A differenza dei fatti di Selma, che costrinsero l’allora presidente degli Stati Uniti Lyndon Johnson a promulgare il “Voting Rights Act”, la legge che vieta le discriminazioni elettorali su base razziale, i successivi casi sembrano portare a una punizione non del tutto esemplare.

A parte un singolo licenziamento, a Ferguson tutto è rimasto sostanzialmente invariato e ad aggravare la situazione sono arrivate anche le parole del sindaco della cittadina («I problemi riguardano l’intera regione di St. Louis»).

Anche in questo la più potente nazione del mondo rimane imbrigliata in situazioni simili mostrando, ancora una volta, la sua incapacità di esportare e insegnare la vera “democrazia”.

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