11 Settembre 2017 - 09:00

Alla scoperta di Alfonso Cuarón: Gravity, la rivoluzione degli effetti speciali

Gravity

Zon.it continua il suo approfondimento sui più grandi registi della storia del cinema: oggi l’appuntamento è con Alfonso Cuarón e il suo capolavoro Gravity

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Tra il 2013 e il 2014 Gravity è stato il film più discusso dalla critica e dal pubblico. Ha aperto la 70ª edizione della Mostra del cinema di Venezia e ha ottenuto 10 candidature agli Oscar, aggiudicandosi 7 statuette: Miglior regia ad Alfonso Cuarón, Migliori effetti speciali, Miglior fotografia, Miglior montaggio, Miglior colonna sonora, Miglior sonoro e Miglior montaggio sonoro.

Insomma Gravity è la pellicola di consacrazione del regista messicano, che tuttavia, aveva già lasciato il segno con Y tu mamá también (premiato a Venezia) e con l’affidamento della regia allo stesso Cuarón del terzo capitolo della fortunata saga di Harry Potter (Il prigioniero di Azkaban).

Il budget fu imponente, più di 100 milioni di dollari, il cachet della Bullock (protagonista del film) superò i 50 milioni. Le premesse di questo film erano altissime ai suoi tempi, Cuarón impiegò 4 anni per perfezionare il suo studio sulle riprese 3D e sul montaggio video. Ma alla fine, il risultato fu straordinario: oltre ad un’accoglienza della critica universalmente positiva, il film incassò più di 710 milioni di dollari, fino a diventare il terzo film nella storia della IMAX ad aver superato i 100 milioni di incassi, dopo Avatar e Il Cavaliere Oscuro.

Trama

La dottoressa Ryan Stone (Sandra Bullock) è un’esperta ingegnere biomedico che affronta per la prima volta una missione nello spazio, insieme all’astronauta Matt Kowalsky (interpretato da un ottimo George Clooney), in quella che sarà la sua ultima missione prima di andare in pensione. Durante una passeggiata all’esterno, vengono avvertiti dal Controllo Missione di Houston un’onda di detriti che si muove ad altissima velocità. Questi li colpiscono lasciando Stone e Kowalsky da soli alla deriva nello spazio.

Il comandante Kowalsky, l’unico a disporre di uno zaino jet, riesce a recuperare la dottoressa Stone che fluttuava nello spazio senza controllo dopo l’incidente e a trainarla con sé agganciandola con un cavo. Con il propellente quasi esaurito, il comandante Kowalsky è costretto a sacrificarsi per evitare la medesima sorte anche alla dottoressa.

Ad un tratto all’esterno della stazione appare Kowalsky – in realtà in un’allucinazione della dottoressa – che la scuote dalla sua disperazione e le suggerisce di usare i razzi di atterraggio del modulo della navetta russa per imprimere il movimento sufficiente ad avvicinarsi alla stazione cinese. La dottoressa Stone riuscirà ad affrontare la rovente discesa nell’atmosfera terrestre e infine ad ammarare.

Spazio, la perfetta metafora della vita

Nonostante Gravity risluti essere in tutte le sue mille sfaccettature una pellicola da “cinema spettacolare“, che fa degli effetti visivi e delle scene da cardiopalma i suoi fiori all’occhiello, Cuarón sulla scia del cinema della nuova scuola messicana (quella di Guillermo del Toro e Alejandro González Iñárritu per intenderci) ricorre comunque a temi quali la solitudine, la visione della morte e la ri-nascita.

Alfonso Cuarón utilizza il genere sci-fi per narrare i temi che gli stanno più a cuore, restando però legato a una realtà tecnologica ma anche drammatica del tutto pronanile: l’incidente spaziale, appunto. È straordinario il silenzioso ma palese ribaltamento, o meglio un processo rivoluzionario, che pone Gravity come la pellicola del ritorno. Se eravamo abituati a film fantascientifici dove gli astronauti con le loro missioni spaziali, avevano il compito di giungere in pianeti sconosciuti, in Gravity ciò è totalmente assente, o almeno in gran parte.

“Vuoi tornare a casa o vuoi restare qui? Certo è bello quassù! Puoi chiudere tutti quanti gli impianti; spegnare tutte le luci; chiudere gli occhi e scordarti il mondo. Qui nessuno ti fa del male; sei al sicuro. Che senso ha andare avanti? Che senso ha vivere?… Mettiti comoda, goditi il viaggio, devi piantare i piedi bene a terra e cominciare a vivere la tua vita… Ehi, Ryan, è ora di tornare a casa!”

Ora l’approdo a un nuovo mondo è completamente sostituito da un ritorno alla Madre Terra. Niente di simile ad Apollo 13 di Ron Howard, Punto di non ritorno di Paul W.S. Anderson o Contact di Robert Zemeckis.

Pragmatismo metaforico: vita e morte

Si è parlato già precedentemente di temi tanto cari a Cuarón come quello della ri-nascita dell’uomo, in questo caso della donna. Un essere umano da sempre simbolo di fertilità, di nuova vita: ebbene, il cavo che collega i due astronauti nella prima mezz’ora del film è un cordone ombelicale (pragmatico e metaforico allo stesso tempo), così come la navicella russa del programma spaziale Soyuz diventa un utero d’acciaio per ridare nuova vita a Ryan Stone sull’orlo della morte. Emblematica la ripresa della Bullock sospesa in aria nell’abitacolo spaziale, in posizione cefalica.

Allo stesso modo la caduta sulla Terra con la navicella cinese è metaforica di una (ri)nascita vita. La dottoressa Stone si libera di una placenta meccanica: le urla di un neonato diventano un boccheggiare su una terra desolata. Ma viva.

La cura dei dettagli: le riprese 3D

Gli effetti speciali furono affidati alla Framestore, già collaboratrice per i film Superman Returns, Il Cavaliere Oscuro e La bussola d’oro, per il quale ha vinto il premio Oscar ai Miglior Effetti Speciali. Questi ultimi appaiono in tutto il film, eccetto che in sole diciassette sequenze.

L’80% del film è composto da computer grafica, che comparato al 60% di Avatar rende meglio l’idea del lavoro effettuato. Il 3D, disegnato e supervisionato da Chris Parks, è stato creato in stereoscopia dalla Framestore e convertito dalla società Prime Focus.

La critica

I critici cinematografici hanno espresso universalemnte pareri molto favorevoli riguardo al film e, in particolare modo, riguardo all’interpretazione di Sandra Bullock. Uno che degli effetti speciali è maestro, il regista James Cameron, lo ha definito “Il miglior space movie mai realizzato“.

Time Out ha dichiarato: “Non è solo il film più bello dell’anno, è una delle conquiste più suggestive della storia del cinema e degli effetti speciali“.

 

In definitiva, Gravity resta una delle migliori pellicole degli ultimi 10 anni per il suo genere. Un cast di soli due attori che riescono a tenere su di sé l’attenzione del pubblico per tutta la durata del film. Un assemblaggio umano e drammatico di ansia, paura, energia. Una produzione monumentale con l’apporto di tecniche di ripresa all’avanguardia che, con l’ausilio del 3D, ha immerso ogni spettatore in uno spazio mai così tanto ostile, maledettamente immenso e infinito.

 

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