2 Giugno 2017 - 19:46

House of Cards, lezioni di terrore alla White House

House of cards

La quarta stagione di House of Cards si era conclusa con una promessa: “we make the terror”. Frank e Claire Underwood pongono le basi del panico generale

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“Io non smetterò. Io non ho intenzione di cedere”

Gli Underwood hanno dichiarato guerra. Non tanto all’ICO, ma per la Casa Bianca. I giochi di persuasione dei due coniugi si costruiscono in due modi totalmente differenti. Francis agisce nel palazzo del potere, in quella “casa di carte” che è pronta a crollare sotto le accuse dell’Herald e dei democratici nel Congresso. Psicologia e politica si uniscono indissolubilmente e Frank sa usarle bene entrambe. Lo sappiamo. Alza la voce al Campidoglio inveendo platealmente contro chiunque non voglia sostenerlo in questa guerra (a voi decidere quale). Si pone come l’unico uomo che sembra interessare la sicurezza dell’America e degli americani. Tutto questo fa bene ai sondaggi e, soprattutto, spaventa gli americani.

 

“Diteci quello che vedete”

Claire è la parte operativa. Quella che agisce nella realtà esterna, che non ha paura di assumersi responsabilità. Il discorso alla nazione la elevano per la seconda volta, dopo la convention repubblicana, a figura istituzionale. È lei l’arma fondamentale per permettere a Francis di vincere le elezioni. Claire è la parte “umana” della coppia. Qui dovrei discorrere sulla scena della foto di Francis che diventa sua moglie e viceversa. Come ci ha abituato fino ad adesso, la regia non lascia nulla al caso. È gioco di razionalità, di nervi. Lo spessore politico poco importa adesso. Gli errori vanno ridotti a zero e tutte le opportunità che si presentano non possono essere lasciate al fato. In fondo, le elezioni si possono vincere con pochi voti di scarto.

“Spero che tu muoia”

Vincere è difficile, convincere ancora di più. Francis Underwood ha un solo grande problema: affrontare la realtà esterna. Il funerale di Miller ha esplecitato questa situazione. Il Presidente viene cosiderato uno sconosciuto, un semplice uomo a cui si può riattaccare il telefono in faccia, a quale gli si può augurare la morte. Creare il caos, come la mozione per richiedere lo stato di guerra in modo tale da mettere da parte la commissione sul caso Underwood, è un’idea pratica per ostacolare proprio quella realtà. Il confronto di Claire con Tom Hammerschmidt è un altro chiaro esempio: rispondere senza rispondere. Dare agli americani altre idee da sovrapporre su quelle che già hanno nella propria testa. È la volontà e la forza persuasiva che permette agli Underwood di andare avatni.

I Conway

Difficile contrastare un potere consolidato come quello degli Underwood: Will Conway lo sa. Ogni suo gesto può essere interpretato come una sfida “arrivista“, quella per la Casa Bianca. È diffile mitigare la sua indole ambiziosa: la guerra (forse imminente) ha stravolto tutti i piani del democratico. Sfruttare a suo vantaggio quella situazione è pressoché impossibile, dato che il suo avversario ha dal primo momento preso una decisione forte, decisa, inattaccabile. Conway si trova così nel limbo, in un territorio che non gli appartiene. Appoggiare Underwood vuol dire spianargli la strada verso le elezioni, verso Washington. Rifiutare l’idea “protrettrice” di Francis signifcherebbe, al contrario, non rispettare i cittadini americani, svenderli ai terroristi: e questo gesto, da ex militare medagliato, stonerebbe. Intanto il rapporto con sua moglie continua ad inclinarsi: già nel finale della quarta stagione avevamo avuto della ravvisaglie. Si va avanti, ma solo per inerzia. Sembra diventare la coppia tipo in House of Cards.

Le prime scene topiche

Ci sono scene che hanno segnato la storia di House of Cards, di cui magari ricordiamo le frasi a memoria, i gesti, gli sguardi. In queste primissime puntate, ce ne sono un paio che meritano una particolare attenzione: la scena della balconata della Casa Bianca.

Tre fattori: Claire, Francis, la White House. Non esistono altri protagonisti. È un sipario silenzioso che osserva i due. Si suggella di nuovo l’unione, le parole non sono lasciate al caso: Francis riporta Claire in sé, la fa ragionare dopo essere stata vittima di un “vile attacco” che l’avevano fatta ritornare, per un momento, umana.

Seconda scena: “non avete nulla di cui temere“. Adesso è Claire che prende per mano suo marito e lo accompagna alle fredde cancellate della Casa Bianca. Si tenta di accorciare un evidente distacco con il popolo americano che, ricordiamolo, non lo ha eletto. Ora bisogna considerare questa scena strettamente collegata a quella del funerale. Vengono dipinde due realtà esterne (lo ripetiamo perché è sunto del discorso di queste prime due punatate): la folla (quindi una pluralità), la figlia del signor Miller (pertanto un unicum). Qual è quella che prevalica? Dove si vuole porre la lente di ingrandimento?

Potrebbero esserci diverse risposte: c’è un prevalicamento emotivo della ragazza, e del comportamento assunto nei confronti di Underwood, fa scalpore nonostante la sua frase sia stata solo sussurrata. È una pugnalata. Mentre la folla impanicata è “silenziosa“. Abbiamo imparato durante le passate stagioni che “uno” può essere più decisivo di “tanti“. La scalata al potere di Francis, contro “tutti“, ne è un chiaro esempio.

La guerra è inziata. In House of Cards, ora, tutto può solo crollare.

 

 

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