5 Marzo 2015 - 18:26

I giardini di marzo, Battisti e l’inadeguatezza esistenziale

I giardini di marzo, una delle più emozionanti canzoni del panorama musicale italiano, composta dal celebre paroliere Mogol e cantata da Battisti, una metafora dell’infanzia e della povertà, ma anche un’allegoria più generale della mancanza di coraggio

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I giardini di marzo fu pubblicata il 24 aprile 1972 all’interno dell’album “Umanamente uomo. Il sogno” di Battisti. Il testo, scritto da Mogol in chiave autobiografica, è una metafora della propria infanzia e delle difficoltà economiche affrontate durante il dopoguerra. Ma è anche un’allegoria più generale delle cadute del cuore, della mancanza di coraggio, del senso di esclusione nei confronti di una vita che spesso ci fa sentire inadeguati.

La canzone è una delle più emozionanti del panorama musicale italiano, composta dal celebre paroliere Mogol e cantata da Battisti. La melodia struggente e malinconia del brano si sposa perfettamente con il testo, immerso nella nostalgia del passato e nell’ansia di non riuscire a vivere al meglio il presente.

I giardini di marzo

I giardini di marzo

Il componimento parte proprio da alcuni ricordi d’infanzia di Mogol, ricordi impregnati di povertà e dominati dalla figura dignitosa della madre, risalenti all’immediato secondo dopoguerra.

Il carretto passava e quell’uomo gridava gelati
al 21 del mese i nostri soldi erano già finiti
io pensavo a mia madre e rivedevo i suoi vestiti
il più bello era nero coi fiori non ancora appassiti

Mi ricordo il punto esatto dove passava un carretto dove potevamo comprare per 10 lire dei gelati quadrati e due biscotti, ma quando si era vicini alla fine del mese mia madre non mi dava i soldi, la vita era dura anche per i miei, la situazione economica non era florida. Mi stupivo che i fiori sui suoi vestiti non fossero ancora appassiti perché li aveva portati così tante volte che era un miracolo che non fossero sciupati”, ha dichiarato Mogol a proposito dei primi versi del brano.

All’uscita di scuola i ragazzi vendevano i libri
io restavo a guardarli cercando il coraggio per imitarli

Nella seconda strofa il ricordo si sposta al periodo adolescenziale, alle esperienze scolastiche, al senso di frustrazione nell’osservare i suoi coetanei, senza riuscire ad integrarsi; disagio espresso attraverso l’inabilità ad emulare la loro abitudine di vendere i libri all’uscita di scuola, “non avevo mai trovato il coraggio di venderli anch’io perché mi sentivo patetico, non so per quale motivo era un fatto di orgoglio.”

poi sconfitto tornavo a giocar con la mente i suoi tarli
e alla sera al telefono tu mi chiedevi perché non parli

Così non gli restava che fuggire in se stesso, in un rifugio dove ritrovare l’isolamento, tutto interno, e mai percepibile dal mondo esterno che solo ne aveva determinato la necessità. Un mettersi al sicuro nel silenzio. Lontano dalla vergogna. Al riparo dall’umiliazione dell’impossibilità.

Che anno è che giorno è
questo è il tempo di vivere con te
le mie mani come vedi non tremano più
e ho nell’anima
in fondo all’anima cieli immensi
e immenso amore
e poi ancora ancora amore amor per te
fiumi azzurri e colline e praterie
dove corrono dolcissime le mie malinconie
l’universo trova spazio dentro me

Nel ritornello esplode un’inattesa dolcezza sognante, elusa da qualsiasi limitazione temporale, fatta di amore e solidità emotiva, in piena armonia con la natura e il suo cielo, i suoi fiumi, le sue colline e praterie. Il suo cuore accoglie in sé tutte le bellezze dell’universo, “ma il coraggio di vivere quello ancora non c’è”. La frase finale del ritornello ci riporta però alla dimensione reale dell’esistenza del protagonista, che continua a percepire una distanza incolmabile tra la vita pratica e quella interiore.

I giardini di marzo si vestono di nuovi colori
e le giovani donne in quei mesi vivono nuovi amori
camminavi al mio fianco e ad un tratto dicesti “tu muori
se mi aiuti son certa che io ne verrò fuori”
ma non una parola chiarì i miei pensieri
continuai a camminare lasciandoti attrice di ieri

battistiNell’ultima strofa torna prepotente il passato, la malinconia si trasforma da ‘dolcissima’ a struggente, per colpa di una delusione, un tradimento, una richiesta d’aiuto impregnata di falsità, che rende ancora più labile la sua fiducia nei rapporti umani, rivelando inutile ogni sforzo di adeguamento a quelle vite in fiore. Così lo stesso Mogol ha commentato i suoi versi: “Ho immaginato una donna che chiede aiuto perché si sta innamorando di un altro ma che contemporaneamente ha bisogno di un supporto per uscire da questa situazione. Lei si è confessata, lui invece l’ha ignorata per un fatto di orgoglio.”

La ripetizione finale del ritornello ribadisce per l’ennesima volta la mancanza di coraggio dell’uomo/bambino, che preferisce guardarsi vivere, piuttosto che uscire dall’apatia delle tare quotidiane. “Perché il coraggio di vivere quello ancora non c’è”.

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