9 Dicembre 2014 - 13:00

Il rosso del sipario e la sua essenza

Il rosso che squarcia il velo di ogni oscurità

[ads2] Non ho bisogno dell’accompagnatore. Per orientarmi, è sufficiente che qualcuno suoni anche poche e semplici note fino alla mia entrata in scena.

La platea, il loggione, li sento strabordare di curiosità ammirata.

Ecco, mi dicono di prepararmi. Prendo le giuste distanze dal sipario che so di essere di colore rosso… già, rosso: alla mia ancestrale domanda, mi hanno risposto: “Sì, insomma…del colore del sangue” oppure “Lei ha presente il semaforo…?” o ancora “Basta pensare a una tinta più chiara di quella della maglietta della Salernitana”. Eppure, mi viene da pensare in questo momento, io saprei spiegare benissimo cos’è l’oscurità! E qui mi sorprendo a sorridere perché, come sempre, anche questa volta l’origine di tutte le incomprensioni s’annida nell’imprecisione delle mie domande. D’altra parte, quando l’infanzia s’azzardava, impertinente, a porre quesiti di tal genere, non era ancora a conoscenza del mondo delle idee di Platone; giocoforza, non avrebbe potuto chiedere, malgrado già l’intuisse, una cosa del tipo: “Sì ma… qual è l’essenza, l’idea della…rossità? Insomma, della rossezza a cui mi devo rifare?”

Troppo tempo ormai, è stato perso.

rosso

Ecco, ci siamo. Alessandra centellina le ultime note di una fuga di Bach. Mi aggrappo a esse e mi lascio sospingere al di là del sipario rosso.

Un applauso intenso circonda i miei sensi. La mia unica preoccupazione però, è quella di stare attento a rimanere nella scia del “do maggiore” a cui, tra una manciata di secondi, Ale darà voce. Eccolo qui. Affretto il passo. Un quarto, due quarti, tre quarti… il salto. Afferro il pianoforte. M’oriento grazie a esso.

M’inchino al pubblico. Artiglio le dita affusolate di Ale con la destra mentre la mano sinistra è sempre lì, piantata sul mio mondo. Con il piede cerco la panca. La trovo leggermente spostata a sinistra (probabilmente Alessandra si sarà emozionata alla fine dell’esecuzione), la sistemo e mi ci siedo. Apro e chiudo tre volte la mano destra e poi, di seguito, quella sinistra.

Poggio le dita tremanti sulla tastiera. Animo i polpastrelli.

Un’ottava, altre ottave per poi ritornare alla prima.

Un mare di tasti bianchi solcato da una miriade di delfini neri.

La mia anima esplode e vedo finalmente il rosso del sipario e la sua essenza.