4 Giugno 2016 - 12:08

In piedi fino all’ultimo round. Il saluto di “the greatest” allo sport mondiale

the greatest

The greatest, Muhammed Alì, lascia orfano il mondo dello sport all’età di 74 anni. Le sue lotte per i diritti umani e i grandi incontri con Frazier e Foreman hanno permesso la sua entrata nel “paradiso” degli sportivi

[ads1]

Una delle frasi più celebri di Pierre de Coubertin, fondatore dei giochi olimpici moderni, è “Lo sport va a cercare la paura per dominarla, la fatica per trionfarne, la difficoltà per vincerla”.In questa sua affermazione il “barone dei cinque cerchi” tendeva ad evidenziare non solo la sfida che lo “sportivo” intraprende nei confronti della disciplina da affrontare ma anche uno specifico modo di vedere la realtà che può essere rapportato a qualsiasi altro ambito. Pur non essendo direttamente collegato a questa affermazione, una delle figure maggiormente legate a questo “modo di fare”, tanto nella vita quanto nello sport, sicuramente Cassius Marcellus Clay Jr., the greatestmeglio conosciuto come Muhammad Ali.

Il pugile dalla tecnica sopraffina e dalle larghe vedute sui diritti umani (la sua conversione all’islam lo portò ad avvicinarsi a Malcolm X, difensore dei diritti dei neri in america) è deceduto nella notte a Phoenix (all’età di 74 anni) lasciando un vuoto incolmabile nel mondo della boxe e dello sport intero.

La sua carriera comincia nel lontano 1960 dove grazie all’oro conquistato durante le Olimpiadi di Roma riesce a mettersi in mostra e a rendere note le proprie qualità.

The greatest, Muhammad Ali

The greatest, Muhammad Ali

Con l’approdo tra i professionisti, nel 1964, riesce prima a sconfiggere Floyd Patterson (al primo round) e poi per ben due volte di seguito il campione Sonny Liston (di cui si ricorda la rivincita con l’avversario stordito a fine match).

Da quel momento in poi la vita del pugile, divenuto nel frattempo “the greatest” per le sue gesta sul ring, cambia totalmente a partire dal nome (Muhammed Alì a seguito della conversione all’islam) e a seguire nella sua carriera.

Dopo il rifiuto di combattere in Vietnam (con la conseguente sospensione da parte della lega statunitense), affronta per la prima volta Joe Frazier (allora campione in carica) subendo, però, una sconfitta (a cui ne segue un’altra con Ken Norton).

La rivincita con Frazier e l’enorme popolarità acquisita grazie alle sue imprese tanto nello sport quanto nelle battaglie sui diritti lo proiettano direttamente ai tre incontri che, senza dubbio, ne esalteranno tanto le capacità sportive quanto la personalità.

Le doppie sfide con Frazier (con il secondo match disputato nello Zaire) e quella con Foreman lo consacrano come “re del ring” in quegli anni e, per ben due volte, campione del mondo della categoria.

Nel 1980, dopo la sconfitta contro Trevor Berbick, inizia il suo secondo più grande incontro della sua vita: quello con la sindrome di Parkinson.

Da quel momento in poi, pur non essendoci più il the greatest degli anni passati, Alì porterà avanti l’altra grande lotta della sua vita che lo accompagnerà fino alla morte.

Le sue 56 vittorie su 61 incontri e il suo “balletto” sul ring rimarranno per sempre nelle menti dei più e il suo coraggio (sia sul ring che nella vita) gli permetterà di rimanere, per sempre, un esempio per le persone.

 “Dentro a un ring oppure fuori, non c’è nulla di sbagliato nell’andare al tappeto. È restare al tappeto senza rialzarsi che è sbagliato.” (Muhammed Alì)
[ads2]