13 Maggio 2016 - 11:06

La “iena” Matteo Viviani all’Università di Salerno

matteo viviani

Matteo Viviani, il noto giornalista del programma televisivo de “Le iene”, in Ateneo per la promozione del suo primo libro. Tra le curiosità degli studenti spicca il suo lavoro da inviato

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L’abito scuro c’è sempre, mentre mancano la consueta cravatta, il microfono e le telecamere.  Si è presentato così  ieri all’Università degli Studi di Salerno la “iena” Matteo Viviani, quasi  in borghese ma senza tralasciare un lieve accenno di eleganza. L’occasione è stata la pubblicazione del suo primo libro “La crisalide nel fango”, un noir in chiave pulp, come è stato definito dallo stesso autore, sugli scaffali dallo scorso aprile e presentato ieri presso l’aula Nicola Cilento dell’Ateneo, nell’ambito della rassegna Davimedia.

L’autore si è intrattenuto con studenti e curiosi in un meeting a 360 gradi in cui non si è soltanto limitato a presentare il proprio testo, ma ha anche fatto un lungo excursus sulla sua vita e soprattutto sui 10 anni trascorsi da inviato per la trasmissione “Le iene”, partendo dagli esordi: “All’inizio ho frequentato la redazione per circa due anni quotidianamente andando in onda appena 7-8 voltee toccando diverse peculiarità del suo lavoro“a dispetto di quanto si possa credere non c’è una macchina organizzata fatta di spie, investigatori o hacker dietro i nostri servizi. Siamo noi inviati, qualche autore ed il cameraman. Si parte da uno studio di fondo del fenomeno da trattare che poi può essere sviluppato anche toccando altri campi. Il 90% del lavoro finale è molto regolato dall’empatia con chi ti confronti o intervisti”.

Un tema, quest’ultimo, ampiamente rimarcato durante l’incontro soprattutto in risposta a qualche presente che si chiedeva come fosse possibile separare la realtà dall’emozione  relativamente a particolari servizi che, alla messa in onda, risultano molto toccanti:

Bisogna lavorare molto sulla psicologia, e fare in modo che ci si trovi soli con l’intervistato – afferma Matteo – solo in questo modo il fattore mediatico viene meno. E’ naturale che poi gli strascichi di quello che fai te li porti dentro e ti fanno riflettere molto anche a mente fredda su ciò che alcune persone vivono. Ma in quel momento devi essere bravo ad essere quasi incosciente. Poi, ovviamente, tutto viene rielaborato dal pubblico, ed in quel caso anche il silenzio di una persona sofferente può dare lo stesso effetto di un urlo”. A chi invece gli chiede cosa vorrebbe fare qualora dovesse abbandonare l’attuale impiego da inviato per la trasmissione, risponde senza mezzi termini: “Scrivere, scrivere, scrivere. Perché è bello, perché ti si aprono nuovi mondi e perché paradossalmente libera la mente. Ed è questo il motivo principale che mi ha portato a questo libro. Avrei potuto cimentarmi in una commercialata riguardante il lavoro che faccio, ma non mi andava e lo testimonia il fatto che non mi sono avvalso di ghostwriter o co-autori, per un progetto che, tra l’altro, ha avuto una gestazione molto lunga prima che vedesse la luce”.  

La trama del libro, ambientato in pieno centro a Milano, ruota intorno a due protagonisti principali, il giovane sbruffone Alessandro e l’irreprensibile impiegato Raffaele. Due uomini instabili, due personalità complesse che non si conoscono tra loro ma indirettamente sono legati da qualcosa che li accomuna, o meglio qualcuno: la bella studentessa Sonia, che finirà per concedere qualcosa di sé ad entrambi. “E’ un lavoro a cui tengo molto – ha affermato in chiusura l’autore accolto in modo più che ottimale tanto che mi è stato addirittura richiesto già un sequel, di cui non ho scritto neanche una parola ancora ad esser sincero”. 

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