9 Settembre 2015 - 14:59

La regola del “do ut des” fra PD e NCD

Pd

Di fronte all’amletico dubbio fra disobbedire all’UE o perdere il consenso parlamentare, la maggioranza Pd risponde con una doppia mossa che accontenta tutti. La riforma del Senato sempre più legata al ddl Cirinnà

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Tre dei fondamenti articoli della nostra costituzione repubblicana, rispettivamente  10 – 11 – 117, richiamano il riconoscimento delle norme internazionali e la cessione, in condizioni di parità con gli altri Stati, di parte della sovranità statale per aderire ad organizzazioni internazionali e, di conseguenza, la subordinazione dell’organismo nazionale nei confronti queste ultime.

I nostri organi decisionali, però, spesso e volentieri cercano di “bypassare” queste norme (due delle quali presenti fra i principi fondamentali), preferendo in un primo momento una mediazione politica, per far fronte ad eventuali smottamenti di maggioranza, e successivamente un simil – provvedimento modellato (o meglio snaturato) sulle richieste dei contrari.

Anche questa volta, come per il reato di tortura, si è arrivati all’ennesima “contrattazione” fra le parti su un tema più volte posto all’attenzione del governo centrale dall’Europa ma, rispetto alle scorse volte, si è presentata la ghiotta occasione di prendere, come si suol dire, “due piccioni con una fava”.

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Pd ed Ncd

E’ accaduto, infatti, che per una questione di tempi di approvazione, la maggioranza si è trovata ad affrontare due spinosi temi: la riforma costituzionale (che istituisce il nuovo Senato) e la regolarizzazione delle unioni fra persone dello stesso sesso, come richiesto dal Parlamento UE.

In questa situazione, totalmente destabilizzante per le componenti in causa, ci si è posti di fronte ad un quesito: disobbedire ulteriormente alla UE o rischiare di perdere il consenso in Parlamento?

La risposta è subito arrivata e ha rimarcato, come spesso accade in situazioni di “crisi istituzionale”, la famosa regola del “do ut des”.

Mentre da un lato il gruppo di Area Popolare tentava invano di bloccare il ddl Cirinnà (che legalizza le unioni civili) attraverso 11 emendamenti di Carlo Giovanardi(Ncd), il gruppo Pd (partito di maggioranza relativa) non faceva nulla per accelerare i tempi di approvazione del provvedimento da tempo bloccato in Commissione Giustizia del Senato.

A questo punto ci si potrebbe chiedere il perchè di un atteggiamento simile.

La risposta è presto data: in questo stesso periodo è presente un’aspra battaglia fra le diverse anime Pd sulla riforma del Senato e in particolare sull’art. 2, che disciplina l’elezione indiretta dei membri dell’organo.

Data l’enorme distanza fra la minoranza dem e l’ala renziana del Pd (che cresce di giorno in giorno), sembra emergere un’unica soluzione al raggiungimento dell’ “ampia maggioranza” a Palazzo Madama che comprende il tenere sempre più stretti gli alleati centrisi e “neo – centristi”.

In questo caso, quindi, un rallentamento sul ddl Cirinnà potrebbe essere funzionale al normale percorso della riforma costituzionale e, allo stesso tempo, isolerebbe totalmente l’ala minoritaria del partito dato il pieno supporto di Ncd e verdiniani.

Allo stesso tempo si eviterebbe anche un ulteriore richiamo dall’UE facendo approvare, venendo chiaramente incontro alle richieste degli alleati di governo, la norma richiesta in un secondo momento.

Come troppo spesso accade, l’Italia tende sempre anteporre le ambizioni personali (dei pochi) alle esigenze dei più, sfornando delle “regole” che invece di porre fine al problema lo aggirano.

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