7 Gennaio 2017 - 20:30

Luchè, il figliol prodigo British che fa la storia nella sua Napoli

Luchè manda in delirio Napoli con la prima volta di un rapper al Palapartenope. Circa 6000 persone per uno spettacolo la cui realizzazione non è per niente succube di fortuna e improvvisazione

[ads1]

“Malammore mi ha insegnato tanto. Mi ha insegnato a scrivere in un certo modo e a raccontarmi come non ho fatto prima.” Parole di Luchè, all’anagrafe Luca Imprudente, proferite come incipit de “O primo ammore” durante il concerto del 5 gennaio scorso tenutosi al Palapartenope di Napoli e riferite al suo terzo album da solista pubblicato lo scorso giugno. 

Un disco spettacolare, introspettivo e nuovo sotto tutti i punti di vista, cui ha fatto seguito una tournee che dallo scorso autunno sta portando il rapper partenopeo in giro per l’Italia. Il giorno della vigilia dell’Epifania la macchina organizzativa si è fermata proprio a Napoli, dove circa 6000 paganti hanno assistito a un concerto-evento a suo modo storico e quasi certamente destinato a lasciare un segno netto nel panorama musicale di genere attuale.

Tralasciando il fatto che parlare di hip-hop e rap non è mai semplice e la confusione a riguardo è abnorme, probabilmente il motivo fondamentale di tale successo è soprattutto uno: come dice un vecchio proverbio, nessuno è profeta a casa propria ed in una città piena di bellezza e generosità ma anche contraddizioni come Napoli l’assioma non può non essere più che mai valido. Se a ciò si aggiunge anche che l’ambito in cui Luchè cerca di essere “il profeta” è la musica, e più nello specifico musica rap, allora si comprende come la missione sia ancora più complicata.

Ne deriva che bisogna lavorare, lavorare molto per ottenere qualche risultato. E Luca lo ha fatto. Lo ha fatto quando, forse, ha cercato nuovi stimoli oltre il Canale della Manica o quando tutti lo credevano finito perchè “in radio non passa”. Lo ha fatto quando ha sperimentato in L1 ed L2 per poi affermare un suo sound, una sua linea artistica ed un suo personaggio in Malammore.

Lo ha fatto quando si è in larga parte discostato da tanti cloni e mode che si vedono in giro. Lo ha fatto quando si è scrollato di dosso quella Gomorra di pistole e violenza, che della stessa Napoli ha fatto solo una brutta fotografia, cercando di mostrare la sua parte personale più intima e nascosta. Lo ha fatto quando a tratti ha cercato di abbandonare il dialetto, mentre in molti lo bollavano come traditore. Lo ha fatto queste e tante altre volte imperterrito, finchè non ne ha raccolto i frutti perchè la gente di Napoli, e più in generale tutta quella del sud, ha anche un altra grande contraddizione: riconosce la spontaneità, la genuinità e ti accoglie, sempre, senza nulla a pretendere.

In quest’ottica l’artista partenopeo non potrà non aver provato un moto di soddisfazione mista a rivalsa al ritorno da protagonista nella sua Napoli, la stessa che descrive nei suoi pezzi, la stessa a cui è sempre legato nonostante la vita parallela a Londra.

Per comprendere ancora meglio il significato e la portata dell’evento basti pensare che, eccetto Fabri Fibra alcuni anni fa in pieno periodo “Tranne te”, il palco del Palapartenope non era stato mai calcato da nessun altro rapper o esperto del genere. Questo fino a venerdì sera quando il carrozzone Malammore, che in realtà avrebbe dovuto fermarsi alla Casa della musica, a causa di un  inaspettato sold out ha dovuto cambiare fermata moltiplicando le presenze. Un segnale forte per la città e per la scena, che alimenta notevolmente la debole fiamma di scetticismo che ruota attorno al mondo hip-hop. Evidentemente oltre le varie minestre riscaldate radiofoniche forse c’è dell’altro. Probabilmente la musica sta cambiando e magari il lavoro duro e le cose fatte con criterio stanno tornando di moda. Ce lo auguriamo. E auguriamo anche buon compleanno a Luca, che tra l’altro compie gli anni oggi.

[ads2]