31 Marzo 2017 - 11:21

Lungo le brulle creste del monte Chianiello

Chianiello

Da Magliano Vetere alla cima del Chianiello, passando per la chiesa rupestre di San Mauro, gli Outdoorini questa settimana diventano impavidi arrampicatori sulle creste dell’alto Cilento, tra leggende, rintocchi di campane e tappi di buon auspicio

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Cos’è che ci spinge ogni weekend, dopo una settimana di lavoro e tanti pensieri per la testa, ad alzarci presto per affrontare ardue e sempre nuove salite, non curanti del meteo, delle cime tempestose e del tempo che ci vorrà per raggiungere la meta?

Oltre il desiderio di una natura autentica e il senso della bellezza che i luoghi scoperti suscitano in noi, c’è in ogni outdoorino la gioia che si svela nella condivisione e la soddisfazione che si raggiunge nel superamento delle difficoltà.

E oggi condiamo la nostra giornata con entrambi questi ingredienti segreti.

In fondo non esiste vera difficoltà se non la “fatica” che però, una volta vinta, ti fa riconoscere meglio il cammino percorso e la meta conquistata.

Fatica di oggi per noi, la brulla e tagliente cima del Chianiello a 1312 m di altezza.

Partiamo con un’allegra brigata dalla località Capizzo di Magliano Vetere, borghetto accovacciato sulle pendici di un’aspra catena montuosa, di cui fanno parte le cime rocciose dei monti Faito, Chianiello e Vesole.

Di origini antichissime, il nostro territorio di partenza, che è adagiato al centro delle due valli tra il fiume Calore e l’Alento, ha da sempre rappresentato un punto di comunicazione strategico tra l’entroterra montuoso e la costa e quindi da sempre punto di controllo sul valico di Preta Perciata.

Tappa obbligata per i viandanti che lasciavano o entravano nel Cilento, il Passo della Pietra Perciata è uno dei 14 valichi del Mezzogiorno che in passato aveva diritto di pedaggio per essere oltrepassato, regolando così i flussi migratori e gli scambi commerciali verso il meridione d’Italia.

Lungo una prima parte di sentiero ripido e gradinato ma con una folta vegetazione, attraversiamo anche noi il passo della Pietra “bucata” che un tempo era costituito da un corto tunnel scavato nella roccia, portando, nel nostro flusso migratorio verso la cima, pagnotte, spumante e una buona dose di allegria da commercializzare.

Siamo su sentiero delle Dee di Roccia, il “Trono delle Dee” dove, tra la fitta lecceta, s’incontrano le rocce calcaree del monte e le tracce degli antichi Dei venerati dai Greci, la cui presenza in questi luoghi è testimoniata dai capolavori lasciati nella zona di Paestum.

E sotto il buon auspicio degli dei per evitare ruzzoloni, zigzagando con chiacchiere e bastoncini, giungiamo nei pressi di una pietra nella quale è incavata una croce.

La pietra, secondo la leggenda, rappresenta il punto in cui, durante un tentativo di trasporto della statua di San Mauro da parte di alcuni uomini del posto che provarono a portarlo dall’altare del santuario fino giù in paese, questa divenne così pesante che si dovette riportarla nella sua nicchia.

Si racconta infatti che il Santo fosse comparso più volte in sogno ad una donna di Monteforte rivelandole dove si trovasse la sua statua. Ma quando la gente locale si recò sul luogo indicato e rinvenendo la statua cercò di portarla a valle senza riuscirvi, capì che la volontà del santo era di restare nella sua grotta.

Ed eccola la chiesa rupestre di San Mauro dove la statua del santo si è fatta riportare! La scorgiamo da sotto dopo un tratto di brevi tornanti, tra lecci ed arbusti, prima della nuda cresta.

Un tutt’uno con la cavità che la confonde perché ricavata in parte dalla grotta naturale, aggrappata alla parete ma quasi nascosta e silenziosa prima del nostro arrivo, in una posizione al tempo stessa angusta e affascinante, la chiesetta di San Mauro è stata costruita con lo stesso materiale della terra con cui si mimetizza.

Sabbia e roccia mescolati per un effetto tra il sacro del luogo e il profano della bellezza.

Al suo interno gli arredi realizzati in pietra, l’altare dietro il quale in un antro profondo è stato ritrovato il santo e i nostri telefoni per immortale un selfie tra i banconi sulla roccia.

Qualcuno dice di aver avuto “esperienze ravvicinate con misteriosi uccelli che la abitano di notte”. Ma la presenza dell’allocco rimane per noi tuttora un mistero su cui tornare.

Reduci dalla mancata visione e pronti alla seconda parte dell’ardua avventura, ci facciamo benedire con l’acqua santa di una sorgente perenne dietro le quinte dell’altare e corriamo al piano di sopra a scoprire “per chi suona la campana”.

Gioiello di bronzo ma giochino oggi tra le nostre mani, la campana della cappella con i sui rintocchi richiama ogni 11 luglio fedeli dalle pendici del Chianiello.

In quel giorno i fedeli attingono dall’acqua della sorgente per portarla a casa e – in un rito molto singolare – le mamme tolgono gli abiti ai bambini appendendole alle pareti del presbiterio come voto e segno di devozione.

Siamo a 1078 m sul livello del mare e i primi 350 m di dislivello sono stati superati. Lasciamo i gradini dell’ingresso dove ci siamo adagiati: da questo momento ci aspetta la nuda e dentata roccia per cui chiederemo la grazia al nostro nuovo santo protettore.

Denti scoperti e bianchi sembrano le pietre che fuoriescono dal terreno – a volte arrotondate, spesso appuntite – che ci accompagnano lungo la salita verso una meta che sembra sempre più lontana.

Non c’è più ombra di alberi o di arbusti, solo la nuda roccia e qualche viola orchidea selvatica che mettiamo tra i capelli.

Sotto il Chianiello le Gole del Calore, lungo i suoi fianchi le scogliere ripide e a strapiombo formate dall’attività erosiva del fiume. Ai suoi lati il rilievo del monte Ceglie e il blocco su cui sorge, quasi sospeso, l’abitato di Felitto.

Camminiamo lungo il pendio che è rivolto verso nord. Quasi in bilico sulla sua cresta, godiamo degli ampi spazi che si aprono alla nostra vista.

Anche chi soffriva di “diarrea verbale” si è messo a tacere. Troppo emozionante per distarci dalla contemplazione della bellezza.

Un altro sorso d’acqua, uno spintone da dietro per salire le ultime rocce, ancora un’arrampicata… e siamo finalmente in cima! Al centro, in alto come su un trono, regniamo in piedi sulle 2 valli.

Alla nostra destra – guardando il nord – tutti i borghi dell’alto Cilento: Aquara, Bellosguardo, Roscigno, Sacco e qualche casetta di Piaggine sotto il Cervati. Alle loro spalle gli Alburni un po’ arcigni con sotto Castelcivita e le sue grotte. Sotto i nostri occhi Roccadaspide e Castel san Lorenzo con una Felitto che si nasconde.

Alla nostra sinistra l’Alento, la costa del Cilento, il mare.

Il cielo si è aperto e accogliamo sulle fronti sudate di buon grado il sole. Dopo la dedica sul libro di vetta e la condivisione dei beni, “stappiamo” con un brindisi già su di giri.

Beviamo felici e non più memori della fatica. Brindiamo alla vita, alle vette raggiunte e alla buona compagnia. E che San Mauro ci accompagni…

“Ho imparato così tanto da voi, Uomini… Ho imparato che ognuno vuole vivere sulla cima della montagna, senza sapere che la vera felicità sta nel come questa montagna è stata scalata.”

Gabriel Garcia Marquez

 

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