6 Novembre 2017 - 16:20

Lungo le Highlands scozzesi nelle terre fatate del nord

Lungo le Highlands scozzesi, dalla cima più alta del Ben Nevis fino ai fiordi sull’oceano dell’isola di Skye, attraversiamo km di brughiera umida e silenziosa per un tour-trekking alla scoperta delle terre fatate del nord della Scozia

Una terra che ha dato i natali a fate, folletti ed eroi leggendari, dove fiaba e natura si annodano strette, non poteva che essere suggestiva e misteriosa e riservare insospettabili sorprese.

Castelli torreggianti di clan antichissimi, croci celtiche per chiese gotiche, kilt dal fascino demodè e fantasie di tartan di appartenenza, scotch whisky tra i più pregiati al mondo, tennent’s di ogni grado alcolico, ballate a suon di cornamuse e arpe celtiche nei locali.

E poi il sole che non tramonta mai, le nuvole in continuo movimento, e il vento freddo del nord che spazza l’erba umida delle valli.

E ancora pecore allo stato brado nella brughiera solitaria, mucche rosse dal pelo lungo, falesie a picco sul mare e foreste di pini caledoniani, lividi loch di acqua dolce che si confondono con i profondissimi fiordi dell’oceano, e non ultime le innumerevoli glen, valli immense che tra laghi e torrenti terminano solo quando iniziano le tracce del mare.

Questa è stata la nostra Scozia, questa la nostra avventura tra quello che abbiamo visto e, più di tutto, l’inaspettato che abbiamo vissuto.

Con gli scarponi da trekking e un solo bagaglio a mano con dentro sciarpe e cappelli, il nostro outdoor di maggio ci ha portato nella natura selvaggia delle Highlands scozzesi. Regione montuosa solcata da vallate di origine glaciale nel profondo nord della Gran Bretagna, dove il numero delle pecore supera quello degli abitanti, le Highlands sembra che siano, prima di arrivarvi, all’ultima fermata ai “confini del mondo”.

Dai vetri del bus scorriamo con occhi avidi Edimburgo, Glasgow, ed infine il piccolo centro di Fort William, punto di approdo e partenza delle nostre escursioni. Paralleli quasi alla nostra strada i binari su cui viaggia il Jacobite, il treno a vapore che attraversa la West Highland Line, che ha ospitato a bordo anche Harry Potter lungo uno dei suoi viadotti in pietra.

Dopo km di terra silenziosa e selvaggia, siamo arrivati nella “capitale dell’outdoor del regno Unito”.

Il nostro hostel e il suo mondo multietnico ci aspetta. Fish e chips come prima cena e una birra in compagnia della statua di bronzo a Gordon Square. Eravamo 4 amici a Fort William, la capitale del fuoriporta che ha da bere per tutti, ma dopo le 21 da mangiare per nessuno.

Rigenerati dopo la prima notte nel nostro letto a castello in allegra compagnia, l’indomani ci alziamo di buon ora per prendere il ticket per la fila al bagno e per goderci un breakfast con pane tostato, burro e marmellata.

 

Siamo pronti per la prima scalata del nostro sopralluogo: vogliamo dare una prima occhiata alla nostra Scozia dalla vetta più alta delle isole britanniche. Un giro adagio nella valle di Great Glen e poi iniziamo la lunga salita verso i 1344 m di altezza del “the Ben”, come lo chiamano i locali.

Quasi 1300 m di dislivello e circa 7 ore considerate per salire e scendere la vetta, il Ben Nevis era un antico vulcano, come si può intuire dalla forma mezza conica, e con una temperatura media della vetta di un grado sotto zero, che giustifica la neve che ancora sosta sul pianoro della cima.

Insieme con noi nella salita scalatori poliglotta, trekkers con cani o prole a seguito e soprattutto tanti corridori “giovani dentro”.

Il nuovo è ovunque intorno a noi, nella lingua, nei paesaggi, nell’aria torrida della fredda primavera di queste terre. Impossibile non sostare a godere di questi momenti. Non arriveremo alla cima per una manciata di metri di dislivello, ma il lunch time sul piccolissimo loch sulla fiancata della collina dove ci siamo fermati, meritava tutto il tempo che gli abbiamo felicemente concesso.

Dopo la salita sul Ben Nevis del primo giorno, ci aspettano i 25 km del secondo, lungo la West Highland Way.

La lunga “via dell’ovest” è un sentiero rurale che passa tra le colline rade nelle Highlands scozzesi e che si estende pe 135 km dalle periferie settentrionali di Glasgow fino a Fort William. Noi ne facciamo solo l’ultimo tratto, la fine, quello che ti fa dire nel momento dell’ultimo passo: “cavoli, ce l’abbiamo fatta!”. E ne è valsa la pena.

 

Dolci colline, prati ricoperti di erica in fiore, foreste di pini e le pecore, unica forma di vita visibile oltre noi tre. Noi – uno distante dall’altro per goderci le voci del cammino – la strada infinita davanti agli occhi e il silenzio.

I nostri pensieri in viaggio lungo la solitaria via nel mezzo del nulla. 

Festeggiamo il nostro successo con una McEwans Scotch Ale alla spina e un Caledonia 80 scura. Ma ci conteniamo, perché la sera c’è chi si butterà sul leggerissimo haggis, un insaccato di interiora di pecora molto speziato che andrebbe servito ancora all’interno dello stomaco dell’animale, e chi su una buona dose di vero scotch whisky single malt a suon di musica celtica in un locale del centro, con violino e cornamusa.

Ma dopo 3 giorni è il momento di lasciare la terra ferma e partire alla volta dell’isola di Skye, “l’isola delle nuvole”, uno degli angoli di Scozia in cui si custodisce e si tramanda la cultura e la lingua gaelica.

Collegata alla terra ferma da un lungo ponte arcuato, sembra un mostro preistorico che emerge dal mare con la sua costa frastagliata. Qui i fiordi si spingono sull’oceano che s’insinua ingannevole nelle strette insenature, creando a sua volta profondi bracci di mare.

 

Portree, il piccolo villaggio che ci ospiterà per altri 3 giorni, nonché la cittadina più grande dell’isola, è un pittoresco porticciolo contornato di scogliere che ti accoglie con le sue casine colorate e i pescherecci ormeggiati davanti ai pubs che emanano profumo di pesce.

Chiamata “porto del Re”, non possiamo non farci il giro in barca che ci porterà lungo tutta la sua baia e riempirà il nostro pomeriggio con la vista delle foche dai lunghi baffi appollaiate sugli scogli, dei delfini durante i loro giochi a fior d’acqua e infine, la regina della fauna dell’isola: l’aquila pescatrice, che si presenta ai nostri occhi mentre addenta un pesce rubandolo ad un gabbiano di turno. Ci è mancato vedere solo le balene, ma ci rifaremo l’anno prossimo.

Il grande fascino però dell’avventura sull’isola lo viviamo il giorno successivo, con una lunga, intensa e inebriante escursione sull’Old Man of Storr.

A 10 miglia da Portree, il “vecchietto di Storr”, è un grande pinnacolo di roccia che si erge alto a nord di Skye nell’area conosciuta come Trotternish.  Un monolito di 55 metri tra i più fotografati al mondo.

Per l’azione di un’antica frana, l’area al di sotto delle scogliere di Storr è fitta di speroni rocciosi dalle strane forme. Il paesaggio è impervio e primordiale: un luogo fiabesco con caratteristiche dark da far invidia ai fratelli Grimm.

Da un posto panoramico che scopriremo chiamarsi Coire Faoin, il “Santuario”, osserviamo sotto di noi le rocce nude e il mare sotto le scogliere vulcaniche a strapiombo. Lontano, le cime nere e aguzze dei Black Cuillin a fare da cornice.

La velocità delle nuvole cariche d’acqua porta vento, pioggia e una grandine improvvisa che ci costringe a congedarci velocemente da queste cime sacre, tenendoci aggrappati quasi alla terra con la paura di cadere nel silenzio del pianoro.

Rotoliamo quasi lungo tutta la discesa. La vista da quassù, al cospetto di questi giganteschi totem, ci ha stregati e incusso timore, ma ci ha emozionato fortemente e ci ha reso fieri trekkers con l’argento vivo addosso di chi ama scoprire l’inconsueto e sperimentarlo.

Un’altra peripezia oggi volge al termine. In ostello ci aspetta una cena in quattro tutta italiana con un cuoco d’eccezione venuto dal sud Italia. Una carbonara da 3 stelle Michelin che ci è valsa come cooking lesson ai giapponesi!

Il giorno dopo è la volta del Dunvegan Castle, costruito sulla roccia sulle rive di un lago, è il più antico castello della Scozia ad essere abitato in modo continuo dal XIII sec al Clan dei MacLeod. Finalmente un po’ di leggenda e romanticismo.

I Clan sono tra gli aspetti più affascinanti dell’identità scozzese. Di origine celtica, essi rappresentano l’antica struttura su cui era basata la società scozzese tradizionale. Il clan era una sorta di “grande famiglia” i cui membri e i loro discendenti da parte paterna facevano riferimento ad un unico capo e s’identificavano sulla base di una area geografica precisa, caratterizzata dalla presenza di un antico castello.

Ogni clan ha un proprio tartan – che è il segno distintivo dell’appartenenza alla propria famiglia – un tessuto costituito da strisce orizzontali e verticali in diversi colori, visibile soprattutto nel tradizionale kilt, capo d’abbigliamento storico che ha resistito alla prova del tempo.

 

Nelle Highlands, regione impervia e vasta e difficile pertanto da tenere sotto controllo, i clan poterono godere di un lunghissimo periodo di autonomia. Tra questi il clan dei MacLeod, “signori” di questo meraviglioso castello dove siamo noi oggi, a zonzo tra le stanze reali e i giardini di fronte al mare.

Esposta all’interno del castello la Fairy Flag, una stoffa gialla che secondo la leggenda fu donata dalle fate con il potere di difendere il Clan dal pericolo della morte in battaglia e il Corno di Toro, dal quale ogni erede deve bere un sorso di vino rosso per prenderne la forza insita dell’animale.

Dopo questa tappa “favolosa”, ci concediamo una cioccolata calda per lenire i brividi di freddo e un’altra cena tutta italiana che ci aspetta in ostello. Domani ci sarà il lungo viaggio del ritorno e il saluto ad Edimburgo.

Cosmopolita, raffinata e dall’anima gotica, Edimburgo ha saputo chiudere in bellezza il nostro viaggio selvaggio.

Camminando sul lungo rettilineo della Royal Mile attraversiamo tutta la zona vecchia della città fino al suo castello, alzando continuamente gli occhi per osservare il volto medievale della città, i palazzi antichi, la cattedrale di Sant’Egidio, le barbe rossicce degli scozzesi e i kilt nelle vetrine.

Con i trolley dietro e sotto una pioggerellina fine, attraversiamo strade acciottolate umide e scivolose che portano a vicoli nascosti e misteriosi, i cosiddetti close, ossia le viuzze anguste ricoperte da volte che ti portano lungo interminabili scalini fino a sbucare in cortili e piazzette.

Lasciamo Edimburgo con un vuoto dentro, quello del tempo che avremmo voluto per continuare una notte brava nella Old Town e ballare sulla musica del violino e del Clarsach, provare finalmente il porridge, bere un altro Talisker; e poi vedere il Giardino Botanico Reale con le sue erbe officinali, vivere l’esperienza della Camera Obscura che è l’attrazione più antica di Edimburdo, visitare la sede del parlamento scozzese, arrampicarci per raggiungere l’Arthur’s Seat e godere della vista su Edimburgo a 360 gradi…

Ma la “visuale” la teniamo nel cuore, così come ci portiamo dentro gli scenari da Braveheart che abbiamo vissuto e l’autentica condivisione di luoghi, tempi ed emozioni che abbiamo provato, sperimentato, talvolta tentato e azzardato, trasformando il nostro sopralluogo in questa terra lontana in un viaggio epico per cuori impavidi.