15 Dicembre 2014 - 19:36

Le mani sulla Capitale

L’inchiesta “Mafia capitale” riporta alla luce i rapporti tra la malavita romana, gli ambienti dell’estrema destra e membri delle istituzioni

[ads2] Come un fulmine a ciel sereno il Campidoglio è stato colpito da una pioggia di avvisi di garanzia che hanno fatto tremare le alte schiere dell’amministrazione della Capitale. La mala romana non ha mai nascosto le sue simpatie per gli ambienti della destra eversiva, che dal suo canto ha sempre ricambiato l’affetto garantendo una fucina di manovalanza spietata e senza scrupoli.

Due storie trasversali, sempre pronte ad incrociarsi e poi dividersi senza mai separarsi del tutto. Erano gli anni settanta ed il piombo delle diverse fazioni infuocava le estati di tutto lo stivale, senza che la Roma capitale ne fosse risparmiata. Patria delle più sanguinose faide della guerra ideologica, talamo sepolcrale di decine e decine di giovani che in nome di un idea lasciarono il loro sangue sul selciato. Sede designata dalle nordiche Br per perpetrare l’attacco al cuore dello stato, realizzato con l’uccisione del senatore Aldo Moro, nella capitale videro i natali tante altre sigle del panorama dell’eversione politica. Una tra le tante si attribuì il nome di NAR, al secolo, Nuclei Armati Rivoluzionari; i padri fondatori, studenti frequentanti la sezione dell’EUR dell’MSI ed aderenti all’organizzazione studentesca denominata FUAN, Valerio Fioravanti, suo fratello minore Cristiano Fioravanti, Francesca Mambro, Franco Anselmi ed Alessandro Alibrandi.

Teorici dell’atto rivoluzionario più che della rivoluzione, da subito si distinsero per efferatezza e spietatezza del modus operandi; l’omicidio di Valerio Verbano ne è un chiaro esempio. I rapporti con la mala locale non tardarono ad arrivare, il bar Fungo in zona EUR, storico ritrovo di neofascisti e criminali romani, il vulnus ideale per rinsaldare il sodalizio. La Roma di quegli anni conosceva una storia criminale fatta di piccole “batterie”, generalmente composte da 3-5 uomini specializzate in piccole estorsioni, rapine a mano armata e corse di cavalli; lo spaccio ancora non conosceva le proporzioni del fenomeno odierno, quantomeno non conosceva l’egemonica gestione che si perfezionerà di li a poco. “Roma non vuole padroni” dicevano i protagonisti di Romanzo Criminale, tutto vero sino all’arrivo della Banda nella Capitale. Gli esordi del sodalizio parlano del sequestro del Duca Massimiliano Grazioli Lante della Rovere, lo stesso che garantirà alla futura Banda il capitale iniziale per creare l’impero criminale che verrà.

 BANDA DELLA MAGLIANA

La Banda della Magliana, che negli anni 70-80 mise per prima le mani sulla Capitale (Ansa)

Due storie diverse, l’una di gente di borgata, Danilo Abbruciati, Enrico De Pedis detto Renatino, Abbatino; poco istruita e pronta a tutto, l’altra, fatta di giovani studenti con il culto della violenza. L’incontro avviene per mezzo di un personaggio che fungerà da anello di congiunzione trai due universi pronti a confondersi. Massimo Carminati, nato a Milano e presto trasferitosi nella Roma capitolina, sale con naturalezza alle luci della ribalta degli ambienti criminali, la fama è quella del picchiatore pronto a tutto, di simpatie neofasciste, ispirerà in Romanzo Criminale la figura del Nero. Adorato da De Pedis, fece “innamorare” di se non solo Renatino ma anche gli altri “testaccini” secondo quanto riferito da Antonio Mancini, sempre lui ad additarlo come “la chiave” per accedere all’armeria situata negli edifici del ministero della salute; armeria che metterà in collegamento la Banda con la strage di Bologna, fornendo la prova ufficiale, se mai ce ne fosse stato bisogno, del canale preferenziale creato tra malavita, servizi deviati e eversione di destra.

massimo carminati

Massimo Carminati, foto d’archivio – ANSA

Ma tornando a Massimo Carminati, il nero, uno dei quattro re di Roma secondo una prima ricostruzione dell’attività inquirente che ha portato allo scoperto la polvere nascosta sotto ai tappeti del Campidoglio, nel tempo è stato periodicamente accostato a tanti fatti di sangue prodotti dal sodalizio tra servizi e neofascismo, riuscendo nella quasi totalità dei casi ad uscirne pulito, è il caso dell’omicidio Pecorelli e di quelli dei giovani militanti Fausto e Iaio, uccisi nel 78 a Milano. Un intoccabile sopra il quale secondo il Mancini, detto l’Accattone, siederebbe qualche “ripulito” a muovere i fili del malaffare capitolino. Il nome di Carminati viene spesso fuori in quanto a vicende giudiziarie, non ultima quella dell’affare Fastweb-Telecom Italia Sparkle, ordito dal genio criminale di un altro esponente della destra eversiva e riciclatosi faccendiere: Gennaro Mokbel; fu il commercialista di questi, attualmente agli arresti domiciliari, Marco Iannilli (presso la cui dimora alloggerà per un breve periodo il Carminati) a parlare di “er cecato” come del garante che gli eviterà di incorrere nelle ire del Mokbel nelle fasi concitate del processo.
“Er cecato” lo chiamano nell’ambiente, un conflitto a fuoco tra l’ex esponente dei NAR ed i Carabinieri ha prodotto quella menomazione fisica tanto caratterizzante, da concorrere a sedimentare nell’immaginario collettivo la sua fama di duro. Il nuovo Re di Roma secondo molti, ai vertici di un concistoro criminale che riconosceva nella capitale quattro reggenti, tra cui Michele Senese, ex Sicario attivo (secondo le parole di alcuni collaboratori di giustizia) nella faida dei più di cento morti all’anno tra Cutoliani e Nuova Famiglia.
Fasciani Carmine, cui spetta la gestione del mandamento che controlla la zona sud della capitale e che si estende sino ad Ostia, gestore di locali alla moda, fu arrestato nel 2010, nella stessa indagine si vide sequestrato un locale acquistato per 780mila euro nonostante, al fisco, il Fasciani ne avesse denunciati soli 14mila. Risulterà non colpevole ed i beni gli verranno restituiti, altro leitmotiv, un ritornello assordante quello delle assoluzioni per i mammasantissima della Capitale.
A quadrare il cerchio, Peppe Casamonica, di etnia nomade, stanziatosi ormai da decenni nella periferia sud-est della capitale: Anagnina, Tuscolano, Romanina e Porta Furba gli angoli dai quali col suo clan (che secondo ricostruzioni del capo della squadra mobile Vittorio Rizzi, può contare su di un migliaio di affiliati ed un giro di affari stimato nell’ordine dei 90-100 milioni di euro) gestisce il malaffare, principalmente usura, senza però rinunciare allo spaccio.

Una storia criminale che come accennato non riguarda solo la delinquenza professionale, tanti i colletti bianchi colpiti dalle indagini, 37 gli arresti e 39 gli avvisi di garanzia che tra gli altri hanno colpito l’Assessore alla casa ed il Presidente del Consiglio Comunale della Capitale. Ma non basta, i tentacoli dell’organizzazione muovevano i fili dell’ex sindaco, Gianni Alemanno (in precedenza Ministro dell’Agricoltura), passato alla storia come il primo sindaco nero della Capitale; grazie alla sua intercessione la cooperativa di un caro amico del Carminati, Salvatore Buzzi (la “29 giugno”) era capace di attrarre nella propria orbita qualcosa come 60 mln di euro in un anno (un po tanto per una cooperativa la cui ragione sociale risulta essere il reinserimento di tossicodipendenti, ex detenuti ed immigrati). Uno degli ultimi regali da parte dell’ex primo cittadino, commessa da 6 mln di euro per la realizzazione e la gestione di un campo rom che è risultato essere poco più di una costosissima discarica. In quanto ad immigrazione l’associazione criminale aveva puntato molto in alto, trai documenti sequestrati addirittura una lettera proveniente dal pugno di Luca Odevaine (già capo di gabinetto di Walter Veltroni, ex Sindaco della Capitale) fornito di una sua fondazione, Integra/azione, in nome e per conto della quale tenta di accreditarsi come esperto di gestione dei flussi di migranti presso il premier: “Ciascuno deve fare la sua parte” dice. Ma se secondo molti nonostante le evidenze non può parlarsi propriamente di associazione di tipo mafioso, secondo altri il 416bis è il contenitore adatto a cui ascrivere la vicenda; opinioni provenienti rispettivamente dall’irriverente penna di Giuliano Ferrara nell’un caso, da un intervista rilasciata da Gian Carlo Caselli (ai tempi delle stragi mafiose procuratore a Palermo) nell’altro, a voi la scelta.

Ma se da ogni lato non si fa altro che gridare a gran voce indignazioni che sanno di spavento, i pericoli di insabbiamento sono dietro l’angolo; un piano ordito alla perfezione e gestito con maestria disarmante. Gli alti prelati del bipartitismo imperfetto all’italiana neanche a dirlo, sono stati interessati per l’ennesima volta da una vicenda giudiziaria che farebbe impallidire l’ispettore Coliandro. Volendo riprendere una battuta del sopracitato Caselli, ancora una volta siamo venuti a conoscenza di evidenze che dimostrano “l’allegria per la legalità della classe dirigente che riaffiora ciclicamente nella storia della repubblica italiana”, l’oltranzismo morale del ’92 però non sembra aver trovato terreno fertile su cui attecchire, quel che resta da augurarci è che le ombre lunghe proiettate da questi piccoli uomini siano solo un chiaro segno che il sole è ormai al tramonto. Nell’attesa di scoprirlo, buona fortuna!

Le mani sulla Capitale – A cura di Lucio Schiavone