25 Dicembre 2014 - 11:00

La nascita di Gesù nel cinema, la codificazione

La nascita di Gesù rappresentata nel cinema, prendendo spunto dai vangeli, ha portato a una codificazione che ritorna con piccole differenze in diversi film

[ads2] La nascita di Gesù rimane uno dei momenti più suggestivi della fede cristiana, quando il corpo vergine di Maria concepisce il bambino che salverà il popolo d’Israele. Il cinema si è spesso confrontato con una figura così misteriosa e celestiale come la Madonna, con cui si esprime il mistero della fede, e di conseguenza con Giuseppe, focalizzandosi poi sul Messia: Gesù.

Se prendiamo in considerazione alcuni film prodotti sul tema e li confrontiamo con i vangeli, possiamo notare canoni di rappresentazione della nascita di Gesù che ritornano di volta in volta. Tra i vangeli, quello di Giovanni rimane uno dei più toccanti per l’intensità delle parole e per la potenza immaginifica relativa alla nascita di Gesù.

In principio era il Verbo,
e il Verbo era presso Dio
e il Verbo era Dio.

[…]

E il Verbo si fece carne
e venne ad abitare in mezzo a noi;
e noi abbiamo contemplato la sua gloria,
gloria come del Figlio unigenito
che viene dal Padre,
pieno di grazia e di verità.

nascita di gesù

Scena tratta da Nativity: nascita di Gesù

Così recita il Vangelo secondo Giovanni (Gv 1,1-18), illustrando la nascita di Gesù attraverso il passaggio dal verbo alla carne. Il verbo si può qui intendere come parola: dal latino parabola (similitudine) e dal greco paraballo (mettere a lato), significa complesso di suoni organizzato a cui corrisponde l’immagine di una nozione o di un’azione. Parola quindi come immagine; in questo passo del Vangelo la parola coincide con l’immagine di Dio, di cui dice qualcosa sulla Sua essenza. La profonda osmosi tra verbo e natura di Dio è sempre sottolineato nei Testi Sacri, in cui il percorso del cristiano verso il Paradiso deve partire proprio dalla purificazione graduale della parola, in cui si può esprimere un legame profondo con la divinità. Il “concetto” di divinità è stata più volte interpretata dal cinema, quale mezzo di espressione che tende continuamente a sfiorare la spiritualità, la trascendenza. Il cinema contiene già un livello di sublimazione: durante la proiezione le immagini su fotogramma dal proiettore diventano immagini in movimento sullo schermo, e tutto attraverso il magico fascio di luce sospeso  in sala.

La nascita di Gesù, più volte rappresentata, traduce visivamente questa trasformazione da verbo a corpo come un rituale, proponendo poche volte delle novità rispetto alla straordinaria immagine che il Vangelo di Giovanni esprime. Un verbo, che è già immagine di Dio, che diventa il corpo di un bambino, nato dalla purezza, non concepito come natura vuole, ma secondo la Volontà di Dio. Far nascere Gesù da un corpo vergine significa dare un valore decisivo alla forma che l’uomo deve indossare per fare esperienza di un contenuto spirituale. Ecco che ritorna la centralità della forma nel Cristianesimo, e quindi l’immagine. Sappiamo che il cinema è discorso per immagini, ma non ha saputo ancora interpretare, in termini puramente visivi e astratti, la nascita di Gesù nella sua trascendenza che si fa, misteriosamente, immanenza.

nascita di gesù

Scena tratta da Il Vangelo secondo Matteo: nascita di Gesù

Nel 1964, Pier Paolo Pasolini fa del Vangelo secondo Matteo un suo atto di “ribellione” contro l’ipocrisia e la povertà umana. Gesù diventa l’alter ego del regista che, come un profeta, urla contro la cattiveria e la corsa verso il potere. Il Gesù di Matteo è rivoluzionario, perché scuote un mondo assopito dal denaro e dalla superficialità. Le musiche di Bach, in questo meraviglioso omaggio alla figura di Gesù simbolo della lotta del proletariato, sono l’elemento che interpretano l’idea di spiritualità pasoliniana: la forte e dirompente umanità che si eleva dalla concretezza. La nascita di Gesù è, infatti, rappresentata seguendo il Vangelo di Matteo, quasi alla lettera, con una “trasposizione” cinematografica che comunica per immagini.

Ormai Giuseppe stava per sposarla. Egli voleva fare ciò che era giusto, ma non voleva denunciarla di fronte a tutti. Allora decise di rompere il fidanzamento, senza dir niente a nessuno.
1:20
Ci stava ancora pensando, quando una notte in sogno gli apparve un angelo del Signore e gli disse: «Giuseppe, discendente di Davide, non devi aver paura di sposare Maria, la tua fidanzata: il bambino che lei aspetta è opera dello Spirito Santo.
1:21
Maria partorirà un figlio e tu gli metterai nome Gesù, perché egli salverà il suo popolo da tutti i peccati».
1:22 E così si avverò quello che il Signore aveva detto per mezzo del profeta Isaia:
1:23 
Ecco, la vergine sarà incinta partorirà un figlio ed egli sarà chiamato Emmanuele. Questo nome significa: «Dio è con noi».

Maria e Giuseppe sono, per Pasolini, ciò che Matteo ha scritto; non ci sono dialoghi tra loro, ma solo sguardi, con cui i due comprendono il mistero che ha investito la loro vita. L’approccio di Pasolini è umano e reale; lo notiamo dagli attori scelti (perché suoi loro volti non ci sono trucchi, ma estratti di vita vissuta), dai luoghi (quasi tangibili), dall’istanza poetica (perché Pasolini cerca in Gesù un proletario emarginato e vittima della società contemporanea). Un’altra significativa testimonianza carica di psicologia umana di Giuseppe e Maria è la chiave di lettura del film Per amore solo per amore di Giovanni Veronesi (1993), in cui, prima di arrivare al concepimento di Gesù, siamo partecipi della vita di Maria e Giuseppe: le loro vite parallele, l’incontro, gli errori, l’innamoramento, la verginità/incredulità, la nascita di Gesù, la Fede, il mistero di Dio.

nascita di gesù

Scena tratta da Per amore solo per amore: nascita di Gesù

La scelta di raccontare l’umanità di Maria e Giuseppe porta a una rappresentazione della nascita del bambino con tratti di drammatica umanità, in cui Maria urla per il dolore. L’ansia di Giuseppe è profondamente umana, così come il verbo fatto carne di Maria: la Madonna è una donna davanti a noi. La nascita di Gesù è inserita nella grotta, circondata dal buio, dove c’è l’unica fonte di luce. La luce, questo spiraglio luminoso (divino), è una delle componenti iconografiche che ritornano in diversi film. Nel recente Nativity, di Catherine Hardwicke (2009), si ripresenta un cielo inquietante sotto cui sarà portato alla luce e dalla luce Gesù. La grotta assume quasi sempre la stessa fisionomia: la paglia, una fonte di luce che proviene dal fuoco (a volte anche poco chiara), animali della pastorizia, in cui s’inserisce una delle scene più famose: la nascita di Gesù.

In Nativity, un affresco pre Gesù con una cura ai colori e alla forma memorabili, il concepimento s’incontra con la luce che, dalla stella più grande, si dirama fin dentro la grotta e illumina Maria e Giuseppe. La stella nel cielo è un altro codice recepito dai vangeli e riproposto con una certa continuità nel cinema. Nel Vangelo di Matteo, infatti, si allude alla stella di Dio nel paragrafo in cui i Re Magi chiedono: “Dove si trova quel bambino, nato da poco, il re dei giudei? In oriente abbiamo visto apparire la sua stella e siamo venuti qui per onorarlo“.

La stella quindi diventa l’espediente visivo, comunemente riconosciuto, che traspone il significato di luce come salvezza divina tra gli uomini. Nel Gesù di Nazareth di Franco Zeffirelli (1977), l’annuncio dell’imminente nascita di Gesù stabilisce un contatto tra il popolo e la stella: è la conferma che qualcosa sta accadendo, da cui tutto ha origine. Le tenebre poi, sono ancora un elemento in comune, che provengono sempre dal Vangelo di Giovanni

In lui era la vita
e la vita era la luce degli uomini;
la luce splende nelle tenebre
e le tenebre non l’hanno vinta.

Tra Gesù di Nazareth e Nativiy ci sono evidenti analogie: la tenebra, come simbolo visivo del male e di un mondo alla deriva, la luce (la stella), “artificio” divulgativo e figurativo della salvezza e dell’arrivo di Dio in terra. Il cinema, che nasce dalla luce, ha costruito un immaginario collettivo legato alla nascita di Gesù, in cui pochi elementi si ritrovano per trasmettere un’immagine consolidata e condivisa. Poca sperimentazione dunque, almeno per i film che dichiarano un legame chiaro con i vangeli e la vita di Gesù, continuando a tramandare scene che ricordano il nostro presepe in casa, in cui tutti possiamo identificarci. Resta, a mio avviso, Il Vangelo secondo Matteo di Pasolini uno dei film in cui la classica iconografia, che sarà solo successivamente preponderante, è declinata per portare alla luce l’uomo. 

Egli venne come testimone
per dare testimonianza alla luce,
perché tutti credessero per mezzo di lui.

Dal Vangelo di Giovanni dunque, capiamo che Gesù venne per dare testimonianza di ciò che è Dio; così come il cinema può essere testimonianza/e di ciò che è l’immagine di Dio, ma non esaurirla mai. Di fronte all’incapacità, forse, del cinema di riprodurre l’elemento spirituale se non in termini iconografici, è notevole la ricerca estetica di Andrej Tarkovskij, e in film come Lo specchio (1975), in cui il tempo fenomenologico tipico della settima arte ci mostra il mondo nella sua logica evoluzione, i corpi degli uomini nella loro naturale ritmicità, da cui è possibile fare esperienza del divino: il cinema come suggestione, e non come mera registrazione della realtà. Come lo stesso Tarkovskij dichiara

Il segreto
mi pare sia quello di mostrare allo spettatore il meno possibile,
in modo che, in base a questo minimo recepito, lo spettatore possa
farsi, per conto proprio, un’idea di tutto ciò che rimane inespresso. È
su questo che, a mio parere, deve costruirsi l’immagine cinematografica.
Se si vede la cosa dal punto di vista simbolico, allora nel cinema
il simbolo è quello della natura così com’è, della realtà. Dove ciò che
è importante non è il dettaglio! Ma ciò che è recondito!

( A. Tarkovskij, Diari. Martirologio 1970-1986, cit., p. 103)