29 Giugno 2017 - 20:49

I ventanni di Ovosodo e di un’Italia “livornese”

Ovosodo, i ventanni di un'Italia "livornese"

Compie 20 anni Ovosodo, un film sulla disillusione generazionale, che ha aperto uno spiraglio sulla vita di provincia degli anni ’90. A luglio un’intera manifestazione dedicata ad un cult trasversalmente attuale

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Il 12 settembre 1997 usciva nelle sale cinematografiche Ovosodo, terzo film di un allora ancora acuto e viscerale Paolo Virzìun distillato degli anni ’90 intriso di livornesità, che mostrava agli italiani l’altro volto dell’essere toscani.

Ovosodo scena

Virzì ci mostra la Livorno in cui come dice il protagonista, Piero Mansani (Edoardo Gabbriellini): “Vivevo in un mondo che non ammetteva sfumature. Un congiuntivo in più, un dubbio esistenziale di troppo ed eri bollato per sempre come finocchio”.

Era l’epoca dei ragazzi ricchi che si vestivano da poveracci perché andava di moda il grunge; delle cotte adolescenziali per le ragazze più ambite, ignorando l’amica di sempre, carina ed intelligente ma che non sa mettersi in mostra.

“Da un po’ di tempo ero preso da qualcos’altro. Indovinate cosa? Le ragazze, l’altra metà del cielo. E valutavo: ora che sono il figliolo di un latitante, sarà peggio o sarà meglio? Cos’avrà voluto dire per una ragazza? Mi avrebbero evitato? Mi avrebbero ammirato? Ero vittima di un incantesimo. Mi sembravano creature dello spazio che mi mettevano anche un po’ di paura. Cosa passava in quelle teste? Provavano le mie stesse emozioni? Io lo confesso, non sapevo bene cosa volevo da loro, ma lo volevo tanto…” (Piero)

Ovosodo, i ventanni di un'Italia "livornese"

L’incipit perfetto su una realtà di provincia: lì dove c’è indolenza e sarcasmo come scelta di vita, dove nulla si prende di petto, tranne l’ultimo “dubbio esistenziale” sul quale bar frequentare in serata.

Ovosodo è principalmente un film generazionale, sulla disillusione di chi aveva grandi ambizioni ed è finito in fabbrica (oggi nemmeno più quello!) a servizio di quello che un tempo era un amico. E vai allora con lo sdoganamento dei “boia”, poetica della vita così come viene. 

Sotto il fardello della solitudine e dell’insoddisfazione, il peso dei ricordi trascinati nel presente continuano ad ancorare al passato, a quella felicità “ignorante” di estati soleggiate, di corse in motorino, di sbucciature in montagna, dell’acqua salata bevuta per gioco. Era la potenza dell’indefinito divenire, appena finita la scuola: la spensieratezza, senza aspettative, senza un futuro, che a quello non ci si pensava ancora.

OvosodoVentanni dopo, l’epopea adolescenziale di Piero – il fratello disabile, il padre galeotto, la matrigna nevrotica e l’unico appiglio esistenziale nella professoressa Giovanna (Nicoletta Braschi) – è il riflesso sociale di nuove generazioni: tristi e inette al bello, in un rapporto non pacificato con le cicatrici del passato, scoprendosi testimoni e non più protagonisti del loro presente.

Ormai  avulso dal nostro, l’agio di un tempo dedicato ai dettagli, in dialogo costante con il contesto, incede scontrandosi brutalmente con gli individualismi cronici e la sopraffazione social.

Ovosodo in tal senso è uno sguardo nostalgico e melanconico su giorni stralunati e ingenui di una storia ingannevole e delle sue lacune, dei tranelli della memoria e dell’oblio propri di ogni generazione.

“Dice che la malinconia non è altro che una forte presenza nel cervello di un neurotrasmettitore che si chiama serotonina. E succede che si ciondola come foglie morte e un po’ ci si affeziona a questo strazio e non si vorrebbe guarire più”. (Piero)

Ovosodo scena

Ovosodo, oltre a essere un quartiere nel centro di Livorno, è anche sinonimo di magone, di un nodo alla gola: una presenza costante ed ineluttabile, sempre lì a ricordarti che sarebbe potuta andare diversamente.

“Tutte le mattine, prima di portare Giovanna al nido, e poi andare a lavorare in ospedale, Susy mi accompagna al lavoro in macchina. E tutte le mattine, che piova o ci sia il sole, lei mi dice la stessa identica cosa: “sei sempre più bello”. E io vado a lavorare contento. Chi lo sa, forse sono rincorbellito del tutto, o forse sono felice… a parte quella specie di ovo sodo dentro, che non va né in su né in giù, ma che ormai mi fa compagnia come un vecchio amico…” (Piero)

A due decenni di distanza (da quel denso 1997), l’associazione culturale The Cage di Toto Barbato (nel film l’amico di Piero) ha pensato ad una commemorazione a tema: l’Ovosodo Village si terrà in Fortezza Nuova a Livorno, dal 18 al 23 luglio, con proiezioni, incontri, itinerari del film e la probabile partecipazione di Paolo Virzì, Claudia Pandolfi, Marco Cocci e ovviamente di Edoardo Gabbriellini, oggi stimato regista.

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