1 Febbraio 2016 - 17:53

Palazzo Zevallos Stigliano, un inaspettato Caravaggio nella via dello shopping

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Le fanciulle di Colonia in un viaggio nella follia fra passato e presente. Ecco Palazzo Zevallos Stigliano

[ads1] Una delle mete più note di Napoli è senza ombra di dubbio via Toledo, strada da sempre associata allo shopping e alle passeggiate pomeridiane. Fra legioni di turisti e veraci partenopei indaffarati a trovare capi all’ultima moda e quelli in attesa di convergere nella celebre Piazza Plebiscito, Palazzo Zevallos Stigliano passa quasi inosservato.

Dalla facciata grigia e priva di particolari orpelli, il palazzo non colpisce affatto il visitatore distratto da quell’universo bizzarro e affollato di odori, colori e suoni, intervallati dalla onnipresente seduzione di vetrine magistralmente abbellite.

Interno di Palazzo Zevallos

Interno di Palazzo Zevallos

Eppure, se l’esterno non desta particolare attenzione, anche a causa del fatto che in quella strada vi sono moltissimi altri palazzi nobiliari, l’interno merita davvero una visita. Sì, perché il Palazzo, oggi sede museale d’Intesa Sanpaolo, dispone d’una galleria museale di non trascurabile valore, non fosse altro perché conserva l’ultimo quadro del Caravaggio, il Martirio di Sant’Orsola, dipinto poco prima di partire per Porto Ercole.

Il quadro è stato dipinto di getto tanto che la tela non era ancora del tutto asciutta alla consegna e per accelerarne l’asciugatura fu esposta al sole.

E’ curioso notare come la qualità del quadro non sia inferiore a quella di tanti altri quadri presenti nel palazzo, dipinti da altri autori con tutto l’impegno e la cura possibile. Anzi, si può tranquillamente dire che, un quadro di Caravaggio dipinto in poco tempo, emozioni più della metà delle opere presenti a Palazzo Zevallos. Come a dire che la genialità spesso emerge comunque, perfino quando l’autore non si applica molto e, anzi, produce un’opera quasi abbozzandola, “tanto per” diremmo oggi.

Il dipinto è tutto un tripudio di rosso sangue che si staglia su pelli diafane e grigiastre, circondate dalle tipiche ombre caravaggesche. Gli uomini hanno occhi famelici, spietati, si agitano in movimenti forsennati, mentre l’unica donna, Orsola, sembra accettare impassibile il suo destino, eroicamente statica.

Michelangelo Merisi dipinge Sant’Orsola nel momento esatto in cui viene trafitta con una freccia da Attila, colpevole di non essersi concessa al conquistatore unno. L’ambientazione sembra più seicentesca che pseudo barbarico-asiatica e, senza leggerne il titolo, sarebbe impossibile ricollegare la scena al mito di Sant’Orsola, una nobile bretone, e le undicimila vergini trucidate a Colonia dagli unni di Attila.

Scrutare quel quadro immediatamente dopo gli inquietanti fatti del Capodanno di Colonia suscita in chi guarda, soprattutto se donna, un’empatia enorme. Anche se il contesto storico è mutato ed il mito è stato rimaneggiato e distorto, amplificando a dismisura il numero delle donne uccise o, più verosimilmente, stuprate, un parallelo fra il mondo di allora e quello di oggi è comunque possibile? Vi è, in altre parole, la sgradita consapevolezza che se prima le donne erano importunate e trucidate con la scusante della loro fede, oggi lo sono per  lo stesso motivo, con la variante di vedervi anche una eccessiva “libertà”, uno stile di vita diverso da quello patriarcale. In entrambi i casi il corpo femminile è, in ogni caso, merce, bottino di guerra da prendere ed abusare a proprio piacimento, nel corpo e nello spirito, per colpire il nemico, il maschile per eccellenza.

Rispettateci! Noi non siamo prede, anche quando siamo nude!!!

Rispettateci! Noi non siamo prede, anche quando siamo nude!!!

Vi è quasi l’ingenua presunzione di ridurre il femminile ad utero ambulante, a soggetto passivo, ancorché esse non lo siano, oggi come allora. Le vergini di Colonia del IV-V secolo erano sì fedeli, ma esprimevano la loro fede in modo vivace ed attivo, programmando un pellegrinaggio fino a Roma, e cosa c’è mai di più attivo di un viaggio? Qual è il modo più emblematico per aprirsi al mondo, per non ridurre tutto ad un universo ristretto ed immutabile?

Oggi, invece, le fanciulle di Colonia sono innocue donne intente a festeggiare il nuovo anno, con l’innocente, e a tratti illusorio, auspicio che l’anno che verrà sia migliore di quello appena trascorso. In una Europa diversa, dove, in fondo, la religione non è più l’elemento imprescindibile, esse non celebrano una festa cattolica, ma una festa presente in tutto il mondo, una festa di origini pagane, celtiche e romane, una festa laica che non ha più alcun legame con la religione. Entrambi i viaggi erano viaggi di speranza, di gioia, di “azione”, cancellati dalla barbarie umana. “Tutto cambia affinché nulla cambi” avrebbe detto Tomasi di Lampedusa. [ads2]