21 Gennaio 2015 - 21:06

Alessia Bottone, Papà mi presti i soldi che devo lavorare?

Alessia Bottone con “Papà mi presti i soldi che devo lavorare?” sorride alla crisi. Il Nord e l’estero non sono la soluzione, ecco come li racconta nell’intervista a ZON

[ads1] Papà mi presti i soldi che devo lavorare? Avventure e disavventure di una precaria a tempo indeterminato della veronese Alessia Bottone, giornalista e scrittrice, pubblicato da Kowalski nel 2014, rimane un testo che riscuote successo, interessando media e giornalisti, ma conquistando un popolo che s’identifica nella precarietà e nella quasi, totale, sfiducia nel futuro, continuando ad amare il proprio Paese.

Alessia Bottone incontra ZON e racconta la sua avventura “letteraria” in queste poche domande:

Alessia Bottone - Papà mi presti i soldi che devo lavorare?

Alessia Bottone – Papà mi presti i soldi che devo lavorare?

In quale momento della tua vita nasce questo libro?

Ho scritto questo libro subito dopo la pubblicazione del primo Amore ai tempi dello stage Manuale di sopravvivenza per coppie di precari, Galassia Arte, Aprile 2013. In quel periodo ero alla ricerca di un lavoro e, avendo affrontato numerosi colloqui, alcuni davvero esilaranti, ho deciso di raccontare parte della mia storia, non per insegnare qualcosa quanto per condividere con i lettori le mie esperienze. In realtà vado molto fiera di ciò che ho fatto fino al 2011, una vita fatta di viaggi, lavoro, studio e stage sempre senza un Euro, o con pochi spiccioli che avevo guadagnato lavorando come cameriera dai 16 anni in su. Ho iniziato a lavorare presto e studiare le lingue per pagare i miei studi, convinta che anche io avrei potuto essere un giorno un self-made man, o meglio woman nel mio caso, ma poi mi sono resa conto che senza i fattori capitale e conoscenze difficilmente si ottiene qualcosa. Non sono diventata pessimista, anzi, forse sono un po’ più realista di prima, ma penso anche che l’Italia non sia il Paese giusto per parlare di meritocrazia.

Quale stile hai scelto e perché?

Stile comico. L’ironia è il profumo della vita, è l’unica arma che si può sfoderare di fronte alla paura, all’insicurezza e alle difficoltà. E poi ridere allunga la vita, lo sapevate? Ed io vedo molta gente che avrebbe bisogno di farsi una risata ogni tanto. Certo, quando non si trova lavoro c’è ben poco da ridere, ma a volte c’è bisogno di trovare nuovi stimoli e condividere avventure e sventure per andare avanti.

[ads1] Cosa racconti di nuovo? Avevi un’idea precisa prima di scrivere?

Il problema è che non racconto nulla di nuovo, non è cambiato nulla negli ultimi anni. La differenza sta nel fatto che io lo racconto senza peli sulla lingua, parlando di un Nord Italia e di un Nord Europa da sempre considerato onesto, che poi tanto onesto non è, dal momento che in Belgio gli stagisti non sono rimborsati e a Milano si è retribuiti in buoni pasto e soldi fuori busta, perché il contratto costa troppo, e il commercialista pure.

papà mi presti i soldi che devo lavorare? Alessia Bottone

Papà mi presti i soldi che devo lavorare? Alessia Bottone

Qual è il tuo parere sul mondo del lavoro e suoi giovani; in cosa sbagliamo e in cosa davvero lo Stato ci impedisce di esprimerci?

Ho una visione estremamente radicale. Penso che il mio Paese abbia tutte le carte in regola e le risorse per “tirarsi su” ma, al tempo stesso, non ha ancora compreso cosa è legale e cosa non lo è. Pagare una badante in nero è illegale, far lavorare un indiano in un ristorante in nero è illegale, assumere con un contratto a progetto un lavoratore che in realtà è un dipendente è illegale, chiedere “ha intenzione di avere figli?” è illegale, assumere un 30enne pagandolo 500,00 Euro al mese perché deve fare esperienza è immorale ma non illegale. Perché? Perché fatta la legge si trova l’escamotage, ma spesso non c’è nemmeno bisogno dell’escamotage visti i buchi normativi e considerati i tempi biblici della giustizia italiana. Cosa sbagliamo? Sbagliamo quando pensiamo che sia solo lo Stato la colpa di tutto, il cambiamento parte da me, e di senso della collettività nel Belpaese ce n’è gran poco.

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