8 Novembre 2016 - 15:08

“Ci vuole coraggio a essere onesti in questo Paese”, Piercamillo Davigo ospite della SUN

L’ospite della Seconda Università degli Studi di Napoli, stamattina, è stato Piercamillo Davigo, presidente della “Associazione Nazionale Magistrati” (ANM)

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Stamattina, nell’aula A del dipartimento di giurisprudenza della Seconda Università degli Studi di Napoli, si è svolto l’ormai consueto appuntamento intitolato “Oltre le due culture” che già ha riscosso un buon successo nelle sue precedenti sedute. L’illustre ospite di oggi è stato Piercamillo Davigo e il titolo dell’incontro, “La crisi della giustizia in Italia: cause e rimedi”.

Davigo è entrato in magistratura nel 1978. Nel 1981 diventa sostituto Procuratore della Repubblica presso il tribunale di Milano. Ha preso parte al pool  “Mani Pulite”, diretto da Francesco Saverio Borrelli, portando alla luce un sistema ben strutturato e ramificato di corruzione e concussione della realtà politica italiana.

Ha scritto vari libri. Su tutti, si menzionano “La Giubba del Re – Intervista sulla corruzione” e “La corruzione in Italia – Percezione sociale e controllo penale”. Da questi ed altri, emerge uno spirito critico molto profondo nei confronti delle istituzioni, in particolare del ParlamentoDa aprile, è presidente della ANM e da maggio è presidente di sezione presso la Suprema Corte di Cassazione.

Dopo una breve introduzione condotta dal rettore della SUN, Giuseppe Paolisso e, successivamente, dal direttore del dipartimento di giurisprudenza, Lorenzo Chieffi che ha presentato l’ospite snocciolandone un breve background biografico, quest’ultimo ha preso la parola trasformando senza gradualità l’atmosfera all’interno dell’aula e infervorando gli animi dei presenti. 

Avvalendosi di numerosi dati statistici, il magistrato ha preso le mosse dal tema delle sicurezza facendo notare una grande contraddizione in cui sono caduti i mass media negli ultimi anni: essi hanno diffuso il messaggio “l’Italia è un paese insicuro”. Un sondaggio condotto a livello nazionale ha invece evidenziato che l’Italia sia tra i paesi più sicuri d’Europa. Davigo è un convinto assertore della tesi che vuole questa insicurezza come volutamente generata dai media, non tenendo conto della realtà dei sondaggi. Sondaggi, che però non sempre riescono a fornire dati completi. Infatti, sfugge a questi la differenza tra i reati commessi e quelli denunciati, la cosiddetta “cifra nera”.

“L’Italia è il paese più sicuro d’Europa”.

“La maggior parte degli omicidi avvengono tra le mura domestiche”, ha affermato convinto, il magistrato, “perciò è inutile mettere i soldati e i carabinieri per le strade!”.

Continuando, Davigo ha elencato quelli che, secondo lui, sono i problemi più grandi nel nostro paese e cioè: la criminalità organizzata, in nessun paese al mondo presente in entità simili a quella italiana e la devianza delle classi dirigenti, dei cosiddetti “colletti bianchi”.

“Le leggi sono scritte per farla far franca ai delinquenti!”.

Contro questi ultimi, il giudice si è schierato in una maniera a dir poco brutale, affermando: “La percentuale di colletti bianchi in prigione rispetto agli altri paesi è prossima allo zero perchè le leggi sono scritte per tutelarli!”. 

Da questa critica, è poi passato ad altre, quelle che riguardano il sistema della giustizia in Italia, profondamente in crisi da circa quarant’anni, non risparmiandosi tecnicismi. In particolare, ha messo in luce la cattiva gestione dell’istituto della prescrizione, che, se da un lato doveva ridurre l’enorme carico di lavoro dei giudici, dall’altro ha favorito l’assoluzione per reati anche gravi perché i processi vengono artificiosamente protratti proprio per usufruire dei vantaggi di essa. Proprio l’eccessiva durata e quantità dei procedimenti e la poca, quasi irrisoria, efficacia delle sentenze, costituiscono due mali da combattere per “raddrizzare” la giustizia italiana.

“In Italia un giudizio per il recupero di un credito dura mediamente milleduecento giorni, in Germania, trecentonovantaquattro!”.

Ciò è dovuto anche al fatto che, nel corso degli ultimi anni, sono state effettuate delle depenalizzazioni, (trasformazione di illeciti penali in amministrativi) ritenute prive di senso. Una depenalizzazione più accorta, infatti, smaltirebbe il carico “ridicolo” di procedimenti, in particolar modo di quelli penali. Per non parlare delle posizioni ancora più antitetiche nei confronti del divieto di “reformatio in peius” che stabilisce che la sentenza emessa in appello o in ricorso per Cassazione non può essere peggiore di quella emessa in primo grado.

Ciò fa sì che tutte le sentenze italiane siano ed, effettivamente, vengano impugnate, rispetto agli altri paesi, come la Francia, dove ciò avviene in percentuali sensibilmente ridotte. Il numero eccessivo dei processi influisce anche sull’attenzione posta dal giudice alla loro definizione. Un giudice italiano riceve un enorme carico di processi e, nonostante questo, riesce a definirne buona parte.

“Tra i diritti fondamentali della persona non rientra quello di farla franca”.

Un altro problema che Davigo ritiene determinante nella durata dei processi è anche l’enorme numero di avvocati, soprattutto i cassazionisti. Anche per questo ci sono molti ricorsi per Cassazione.

Dopo aver evidenziato quali sono i problemi della giustizia italiana, Davigo non ha mancato di suggerire quelli che ritiene possano essere sicuri rimedi:

  • abolire la reformatio in peius;
  • contenere la domanda “patologica”, ossia il ricorso alla giustizia nei casi in cui risulti superfluo e defatigante, con una depenalizzazione sensata;
  • ridurre sensibilmente il numero di avvocati introducendo il numero chiuso nelle facoltà di giurisprudenza.

Non sono mancati riferimenti a diversi episodi della sua carriera, che l’hanno visto schierarsi contro funzionari pubblici corrotti, tra cui chi si giustificava dicendo che la corruzione fosse ormai prassi nel luogo di lavoro e un comportamento onesto gli avrebbe inimicato il capo e i colleghi, episodio sintomatico della convinzione comune emergente che scegliere l’onestà come valore cui improntare la propria esistenza significhi, in questo paese, complicarsela sensibilmente…

“Ci vuole coraggio ad essere onesti in questo paese! Dovrebbe volercene a fare i delinquenti!”.

 

Infine, non sono mancati scambi tra i docenti e il presidente che, dopo un lungo e costante scroscio d’applausi, ha lasciato la parola a Chieffi e Paolisso che hanno ringraziato i partecipanti per la loro presenza.

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