8 Maggio 2016 - 20:07

Roberto Rossellini, il regista che inseguiva la verità

Roberto Rossellini, cresciuto in un ambiente borghese e di raffinata cultura, a metà degli anni Trenta si accostò al cinema con il cortometraggio Daphne. ZonMovie, nel giorno del centesimo anniversario dalla sua nascita, ricorda l’iniziatore del Neorealismo, per la serie #AccadeOggi

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Roberto Gastone Zeffiro Rossellini (Roma, 8 maggio 1906 – Roma, 3 giugno 1977) è stato uno dei più importanti registi della storia del cinema italiano e mondiale.

Roberto Rossellini, il regista che inseguiva la veritàSposatosi quattro volte, la terza con Ingrid Bergman – da cui ebbe Isabella  dopo che nel 1948 la famosa attrice gli inviò una lettera di ammirazione, pregandolo di tenerla in considerazione per uno dei suoi film. Il loro turbolento amore nacque in concomitanza alla loro collaborazione cinematografica: Rossellini la diresse in diversi film, tra cui Stromboli – Terra di Dio (1950), Viaggio in Italia (1953), Siamo donne (1953), La paura (1954), Giovanna d’Arco al rogo (1954).

L’iniziatore del Neorealismo, fu scoperto in America prima che in patria, dove la parentesi fascista, legata al rapporto professionale con Vittorio Mussolini – ma con cui non si schierò mai manifestamente – aveva in parte offuscato la sua credibilità registica.

Nel segno della povertà del post-guerra, si alimentava l’istinto collettivo al dover reagire: in questo contesto Rossellini iniziò le riprese di Roma città aperta (1945), primo film sull’Italia liberata, parlando al pubblico, anche del futuro, di antifascismo, lotta partigiana, resistenza popolare. Questo film, considerato l’iniziatore del Neorealismo, rappresentò la messa in crisi del realismo tradizionale e la nascita di un nuovo cinema: con pochi mezzi, senza raffinatezze tecniche e girando tutto in esterno, Rossellini perfezionò la sua visione corale della narrazione filmica.

Roberto Rossellini, il regista che inseguiva la veritàPer Roma città aperta venne subito acclamato in tutto il mondo e premiato al Festival di Cannes. Il film valse il Nastro d’Argento ad Anna Magnani: memorabile ed indelebile nell’immaginario collettivo la scena in cui Pina muore travolta da una raffica di mitra, mentre rincorre il camion nazista che ha sequestrato il suo compagno. All’epoca, Rossellini e la Magnani erano una coppia anche nella vita privata: un amore nato proprio durante le riprese e destinato a finire. Anche quando l’amore finì, non terminò la stima reciproca: lavorarono ancora insieme per il capolavoro Amore, nei due episodi La voce umana e Il miracolo.

Il successivo Paisà (1946), che ottenne nel 1950 una nomination all’Oscar per il soggetto e la sceneggiatura, anticipava una visione diretta, a tratti “televisiva”, sovrapponendo la finzione alla realtà, e viceversa. Il film, suddiviso in sei episodi che si svolgono fra il luglio del ’43 e la fine del ’44, tratta nuovamente il tema della Resistenza, durante la risalita dell’Italia da parte degli Alleati.

Roberto Rossellini, il regista che inseguiva la veritàIn poco tempo il regista romano si rese fautore di importanti evoluzioni cinematografiche, che lo hanno portato ad essere un modello di riferimento ancora attuale nel cinema contemporaneo. Un’evocazione diretta è evidente in film come Reality di Garrone.

Rossellini non era un’esteta e neanche un tecnico del settore, ma ricercava uno sguardo registico disincantato, quasi naif, sul mondo e sull’uomo. In ciò Rossellini fu un antesignano per la generazione della Nouvelle Vague:

« Roberto mi ha insegnato che il soggetto di un film è più importante dell’originalità dei titoli di testa, che una buona sceneggiatura deve stare in dodici pagine, che bisogna filmare i bambini con maggior rispetto di qualsiasi altra cosa, che la macchina da presa non ha più importanza di una forchetta e che bisogna potersi dire, prima di ogni ripresa: “O faccio questo film o crepo”. » (Francois Truffaut)

Parlando della sua nuova visione di realismo con Gianni Rondolino, nel 1952 affermava: “Sono un regista di film, non sono un’esteta e non credo che saprei indicare con assoluta precisione che cosa sia il realismo. Posso dire, però, come io lo sento, quale è l’idea che me ne sono fatta. Forse qualcuno potrebbe dire meglio di me. Una maggiore curiosità per gli individui. Un bisogno, che è proprio dell’uomo moderno, di dire le cose come sono, di rendersi conto della realtà direi in modo spietatamente concreto, conforme a quell’interesse, tipicamente contemporaneo, per i risultati statistici e scientifici. Una sincera necessità, anche, di vedere con umiltà gli uomini quali sono, senza ricorrere allo stratagemma d’inventare lo straordinario”.

Roberto Rossellini, il regista che inseguiva la veritàGermania, anno zero (1947), idealmente posto a conclusione della trilogia sulla guerra, si distanzia dai precedenti neorealistici, vanificando la speranza di una rinascita collettiva. Legato ad un tragico evento personale (la perdita del figlio), questo film segna una nuova poetica cinematografica, decisamente più cupa. Comincia una nuova fase nella sua filmografia, rivolta in primo piano alla psicologia umana e alla percezione soggettiva. La sfiducia nei confronti delle organizzazioni sociali soppianterà l’iniziale ottimismo neorealistico, virando il suo cinema verso la ricerca di una comunicazione con Dio, come in Stromboli – Terra di Dio.

Dell’ultima parte della sua vita lavorativa, fa parte Socrate (1971), ultimo film storico pensato per la televisione in due parti. Sceneggiato sullo sfondo del decadimento della πόλις e della democrazia ateniese, il film ripercorre gli ultimi giorni di vita di Socrate. Nell’Atene del 400 a.C. Socrate stravolse le strutture del conformismo imperante attraverso il ricorso al dialogo filosofico-esistenziale, al dubbio.

E Roberto Rossellini, esattamente come il noto filosofo, nel suo fare cinema ha sempre inseguito la verità.

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