23 Maggio 2015 - 17:36

Spirito di Servizio

Spirito di servizio e memoria: il ricordo di  Giovanni Falcone a 23 anni dalla strage di Capaci

Editoriale a cura di Danilo Iammancino

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Viviamo giorni difficili, questo è risaputo. Una crisi economica, sociale e di valori, che caratterizza una generazione e che vede soprattutto nei giovani difficoltà e scoramento di fronte ad una realtà che tarda a dare risposte concrete e speranzose. Ci ritroviamo in una società profondamente ammalata, imbarbarita, azzoppata. La diffidenza regna sovrana nei confronti dell’altro, siamo schivi, a volte invidiosi, poco insiti al sacrificio e molto dediti alla polemica sterile. Amiamo puntare costantemente l’indice contro qualcosa o qualcuno, incolpandolo dei nostri fallimenti.

Viviamo in un periodo in cui i giovani impiegano più tempo a raggiungere l’autonomia personale e sono esposti a più numerosi pericoli rispetto al passato e in molti ambienti si riscontra la mancanza di una buona moralità. Mancano ideali comuni e richieste coerenti. I nostri giovani si trovano davanti ad un atteggiamento mentale privo di vigore morale, incerto e arrendevole. Essi crescono tra persone insicure per quel che riguarda i propri ideali, vivendo in una società che attraversa una grave crisi di orientamento dalla quale non si scorge ancora la via d’uscita.

Quando ero ancora un bambino ricordo che mia madre mi “costringeva” a leggere sempre i quotidiani. Da buon insegnante delle scuole elementari teneva tantissimo alla mia istruzione. Da questo suo impeto per la politica che mi trasmise, uscì sin da subito, la voracità per la lettura dei giornali, passione che raccolsi immediatamente e feci mia. Se oggi sono un giornalista gran parte del merito è suo.  Ricordo benissimo quel giorno, quel fatidico 23 maggio, mi avvicinavo ai miei sette anni. Anche quelli erano anni difficili, anni in cui il concetto di mafia era ancora avulso dalle nostre menti e dalle nostre coscienze. Il susseguirsi spasmodico dei telegiornali, delle immagini crude e spietate, la conferma della morte di Falcone, di sua moglie, Francesca Morvillo, degli agenti Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro.

Il giorno dopo,  come di consueto, mia madre dopo scuola non mi fece mancare sul tavolo l’edizione di Repubblica.  Falcone Assassinato fu il titolo. Una scritta incisa ancora oggi nei miei ricordi.spirito di servizio
È morto, è morto nella sua Palermo, è morto fra le lamiere di un’auto blindata, è morto dentro il tritolo che apre la terra, è morto insieme ai compagni che per dieci anni l’avevano tenuto in vita coi mitra in mano. È morto con sua moglie Francesca. È morto, Giovanni Falcone è morto. Ucciso dalla mafia siciliana alle 17:58 del 23 maggio del 1992. La più infame delle stragi si consuma in cento metri di autostrada che portano all’inferno. Dove mille chili di tritolo sventrano l’asfalto e scagliano in aria uomini, alberi, macchine. C’è un boato enorme, sembra un tuono, sembra un vulcano che scarica la sua rabbia“, avrebbe scritto Attilio Bolzoni su Repubblica.  Quando ancora oggi vedo le immagini e i filmati di repertorio di quell’evento mi sale un nodo in gola. L’emozione è ancora vivissima.

Occorre ricordarlo e sottolinearlo: la Sicilia ha generato un fenomeno terribile come la mafia, ma ha generato anche uomini valorosi che hanno sacrificato la loro vita per combatterla, come Falcone, Borsellino, l’ispettore di polizia Boris Giuliano, Peppino Impastato, il giudice istruttore Cesare Terranova, Pio La Torre, il giudice Rocco Chinnici, e tanti altri. Una lunghissima scia di sangue che continua fino ai nostri giorni.

Prima della Strage di Capaci conservo un ricordo indelebile del Giudice Falcone, che ancora oggi mi accompagna. Un’intervista, fatta quando ricopriva l’incarico di Direttore degli Affari Penali a Roma, poco prima di essere ucciso. Lo stralcio della breve intervista è sconvolgente. Mostra un uomo che è quasi consapevole della morte imminente, si intuisce una tremenda ed eroica rassegnazione al suo destino. Mentre Falcone ribadisce ancora una volta all’intervistatore la sua ferrea determinazione nella lotta contro la mafia, il suo volto, la sua espressione, i suoi occhi tradiscono invece una grande stanchezza, un senso di solitudine, di abbandono, di scoramento.  Sull’ultima domanda, la sua risposta e la sua espressione sono quelle di un uomo che sa di dover morire, che sente la morte imminente, ma che non per questo demorde o ha dei ripensamenti. Ma ci sta una risposta forte, profonda che è incisa come una pietra nella mia mente e nella mente degli italiani, quello “Spirito di Servizio” ferreo, convinto, determinato.

“Spirito di servizio” diviene per una generazione di giovani siciliani l’impegno, la determinazione, il coraggio, la voglia di riscatto di un popolo, la voglia di combattere e sconfiggere definitivamente la mafia. Falcone ed il suo spirito di servizio rappresentarono l’incarnazione vivente di quello spirito illuminista, razionalista, lucido, scettico, pragmatico, fatalisticamente coraggioso, quasi incosciente, che costituisce uno degli aspetti meno noti, ma più originali, del carattere di quel popolo che si risvegliava da una ferita profonda. Una ferita che ancora oggi non è stata risanata, nella speranza che anche nelle giovani generazioni, così come nelle istituzioni non ci si dimentichi dello “Spirito di Servizio”.

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