8 Ottobre 2017 - 16:14

Suburra – La serie: la recensione dei dieci episodi della serie targata Netflix

Suburra

Suburra – La serie: recensione completa della prima stagione italiana comprata dal portale Netflix

Quando la più importante casa di produzione televisiva e cinematografica italiana, la Cattleya, scelse di produrre una serie tv da un film di Michele Placido e da una storia vera romanzata dal libro di De Cataldo, Romanzo criminale – La serie (2008) non avrebbe mai immaginato la fortuna, e soprattutto l’importanza di un franchising dedito al crimine che poi sarebbe diventato evento televisivo, punto di approdo e apice di audience in Gomorra (2014).

Tanto meno non avrebbe immaginato, poi, che le sue serie avrebbero avuto maggior influenza e risonanza sia su territorio nazione, che europeo ed extraeuropeo dimenticando i film e i libri da cui erano partite. Dopo quasi dieci anni da Romanzo criminale – La serie e dopo il grande successo del libro di De Cataldo e di un film come quello di Stefano Sollima, ideatore e regista anche di quel Gomorra – La serie e Romanzo criminale – La serie, arriva questa volta sulla piattaforma Netflix, e per la prima volta non a nome di Sky Suburra – La serie (2017). Prima ed unica serie Originale Netflix italiana oltre ad avere una quantità vastissima di trame e sotto trame si riserva una squadra dietro grandiosa. Otto mani creano e modificano il soggetto originale, Daniele Cesarano, Barbara Petronio, Ezio Abbate, Fabrizio Bettinelli, due sceneggiatori danno voce all’idea, De Cataldo stesso, scrittore già del libro e Carlo Bonini e tre registi ne prendono il comando, Michele Placido, Andrea Molaioli, Giuseppe Capotondi.

La storia non è semplice, le puntate sono dieci, ma si articolano nobilmente in un panorama e in un macrocosmo che non guarda a nessuna altra serie italiana. La storia è grande, le trame sono tante, i personaggi sono svariati, ma la vera protagonista è Roma. Roma nei suoi tanti aspetti, con tutti i suoi dimenticatoi, con tutta la sua violenza, tra potere religioso, potere politico, e potere criminale. Roma e la sua fosca potenza di città antica, di potere antico, e di viuzze sperdute e perse nei luoghi senza morale.

Suburra è la storia di tre ragazzi che per un motivo e per un altro, per una serie di eventi, saranno sempre a contatto tra loro, dominandosi, esponendosi fin troppo, rischiando a volte soli, a volte insieme, sparsi e immersi in un potere più grande di loro, a voler padroneggiare sopra e oltre esso, con tutta la codardia e con tutte le minacce imposte dell’essere giovani e vanesi. Tra questi forse, il più importante è Aureliano Adami (Alessandro Borghi), soprannominato poi successivamente Numero 8, un giovane irrequieto in conflitto con il padre boss malavitoso di Ostia.

C’è Alberto Anacleti detto Spadino (Giacomo Ferrara) fratello minore di Manfredi, capo del clan zingaro malavitoso degli Anacleti e Lele (Eduardo Valdarnini), figlio di un poliziotto, invischiato in “affaracci” del Vaticano e in feste modaiole romane. Tutti e tre si troveranno di fronte la figura del “Samurai(Francesco Aquaroli) spirito evanescente, presenza poliedrica che è sempre al posto giusto nel momento giusto, un angelo traslato e al contrario onnisciente che viene ossigenato e nello stesso tempo ossigena la sua città, capo criminale romano e amministratore di Roma, che però come insegna qualsiasi potere, deve sottostare ad un altro gradino gerarchico, la mafia siciliana. Intorno a loro, una serie di protagonisti, monsignori e politici corrotti. Tutto per una causa, i terreni di Ostia: una guerra a chi li prenderà per primo.

È vero che Suburra – La serie non aggiunge niente di nuovo, già come fece Gomorra – La serie diventato più prodotto dagli spazi vasti, dalla valenza registica forte, più internazionale che nazionale, e prediligendo una curiosità univoca e reciproca dei paesi stranieri, quasi come se si potesse parlare di “antropologia”, di usi e costumi della camorra napoletana senza dare uno slancio nuovo all’epica criminale.

Se è vero che deve molto invece a quella serie che è Romanzo Criminale, originale non solo per essere la prima ad essere stata creata ma perché ricca di spunti narrativi e la migliore delle tre fino ad adesso, è anche vero che Suburra ancor più di quest’ultima, seziona e analizza per bene i rapporti interpersonali, l’amicizia piena di compromessi e favoritismi. C’è sicuramente meno violenza di entrambe le serie che la precedono. C’è un richiamo più all’aspetto ludico e simbiotico dei personaggi, al loro intersecarsi e  diventare “incidenti”.

Qui la storia è più vicina a Romanzo Criminale che a Gomorra, per quanto ci sia l’idea di Chiesa criminale fino ad adesso mai accennata. Si tende sempre più a rendere intimi i suoi protagonisti in un contesto universale, soffermandosi molto senza far forzature sull’estetica contemporanea degli abiti e del trucco, senza “divinizzare” l’individuo e il potere criminale. Infatti, se il “Samurai” è un personaggio più studiato nel film che nella serie, tutto particolare e complesso, è anche vero che la sua “estetica” non deriva tanto dalla sua figura imponente, ma dall’interesse carico di umanità di un personaggio così polivalente e maligno.

Tutti sono criminali, ma l’affezione e l’avvicinamento ad essi è sempre più facile e carica di sarcasmo. La regia qui, a differenza di Gomorra, diventa più “narrativa”, e non è più un “ecosistema” affascinante e fascinoso. Si deve tutto quindi al soggetto e alla sceneggiatura, ben raccolti e poi sviscerati infinitesimamente con un senso poliedrico e ansiogeno senza eccessi. Suburra – La serie non si fa critica come spergiura intenzionalmente Gomorra, ma è intrattenimento slanciato nell’attesa di una seconda stagione.

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