28 Febbraio 2017 - 10:00

T2-Trainspotting, la recensione dell’attesissimo sequel

Trainspotting

La recensione di T2-Trainspotting nelle sale da giovedì 23. Vent’anni dopo, i vecchi amici si ritrovano con conti in sospeso che non possono più aspettare

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Correva l’anno 1996 quando “Trainspotting”, il film tratto dall’omonimo romanzo del 1993 dello scrittore irlandese Irvine Welsh, sconvolse il pubblico e la critica di tutto il mondo.

Un’opera cinematografica assolutamente rivoluzionaria, originale, capace di tagliare i ponti con il passato e di lanciarsi a razzo verso il cinema del futuro.

A distanza di ventuno anni, giovedì 23 febbraio, è uscito in tutte le sale cinematografiche italiane “T2 Trainspotting”, adattamento del romanzo Porno e capitolo risolutivo che suggella un successo editoriale e cinematografico rilevante che negli anni è divenuto un vero e proprio totem generazionale, un cult per i tanti amanti del genere.

La storia del primo indimenticato capitolo si era chiusa con un clamoroso tradimento da parte di Mark (alias Ewan McGregor) a danno dei suoi amici di sempre.

Poco dopo il funerale di Tommy (morto di toxoplasmosi, contratta a causa del contatto con le feci del gatto che teneva con lui e che avrebbe voluto regalare a Lizzie), Sick Boy aveva suggerito di comprare due chili di eroina a 4000 sterline e di rivenderli a Londra. Con l’affare andato in porto, Mark, Spud, SickBoy e Begbie si erano ritrovati con sedicimila sterline in mano, da dividere equamente tra di loro. Ma quella notte stessa Mark prese la borsa con i soldi e fuggì in direzione Amsterdam, lasciando al solo Spud la sua quota di quattromila sterline.

Vent’anni dopo…

Che sia passato del tempo è evidente sin dai primi fotogrammi. Il mondo del primo “Trainspotting” non c’è più, sembra scomparso, almeno nei fatti.

Eppure, questo secondo capitolo non lo cancella quel mondo, lo tiene, invece, da parte.

Appartiene al platonico “mondo delle idee”, anzi, delle reminiscenze.

Internet, i social networks, la nuova politica economica, l’orda salutista. Il mondo è decisamente cambiato e allora viene subito da chiedersi se e come quegli “emarginati” cattivi ragazzi del primo capitolo siano in grado di cavarsela in questa nuova e ancor più spietata giungla.

E’ tutto così diverso rispetto ai tempi in cui i nostri figli di Edimburgo si dedicavano ai furti per le vie della città in preda agli effetti dell’eroina, unica vera compagna di una vita decisamente indegna.

I primi frames di questo sequel, dicevamo, sono una botta di adrenalina notevole: il ritmo dirompente di Lust for Life di Iggy Pop (nel remix dei The Prodigy),  apre tante piccole finestre sulla vita dei selvaggi metropolitani di Edimburgo ormai ultra quarantenni eppure così contemporaneamente diversi e simili tra di loro.

Il nuovo presente

Mark si è trasferito ad Amsterdam e lì – racconta a Spud – ha deciso di rilanciare la sua esistenza.

Lavora come contabile, ha una moglie, ma è prossimo al divorizio e non ha avuto figli. Non sì è fatto mancare, invece, un attacco di cuore su un tapis roulant che per poco non lo uccideva.

SickBoy (Jonny Lee Miller) ha mantenuto la chioma ossigenata e sopravvive tra furti e adescamenti.

Non ha abbandonato le droghe, la cocaina è la sua migliore amica e frequenta Veronika, una ragazza dell’est in cerca di fortuna che giocherà un ruolo fondamentale in questo episodio conclusivo.

Begbie (Robert Carlyle) ha provato a farsi una famiglia, ha anche procreato ma non è mai riuscito a scrollarsi di dosso l’aura di bad boy. E’ stato condannato a vent’anni ed è evaso.

Rancore, rabbia, vendetta sono le forze trainanti di questo personaggio che muore dalla voglia di annientare Mark.

Spud (Ewen Bremner), la mascotte del clan, è l’unico che è rimasto aggrappato al passato, un po’ per paura, un po’ per chimica.

Perchè sì, l’eroina non ha mai abbandonato Spud e viceversa. Una moglie, un figlio, un divorzio e un tentato suicidio nel suo palmares.

Le vecchie persone

Il secondo capitolo di Trainspotting ci mostra quanto possa cambiare il mondo e la società circostante.

Ma le persone, i singoli hanno tutta un’altra resistenza, una differente predisposizione ad accettare le insidie del cambiamento.

Si finisce col provare ad autoconvincersi di essere davvero persone diverse, eppure, prima o poi, diviene impossibile  non considerare folle un gioco attraverso il quale non si ottiene altro effetto se non quello di negare il proprio status autodefinitorio.

Mark sarà pure uno splendido quarantenne che ha abbandonato le droghe da un po’, ma di certo non ha ancora imparato a rispettare il fuoco sacro dell’amicizia.

Anche in questo secondo episodio, infatti, continuerà a prendersi gioco di tutti, facendo un po’ come gli pare e cercando di accaparrarsi ciò che più gli aggrada.

Come con Veronika, la ragazza di SickBoy che, pur avendo accantonato la parentesi eroina, non ha trovato la voglia e il coraggio di mettere da parte un periodo ingombrante della sua vita e di andare avanti.

Spud è forse l’unico personaggio che riesce a dare un taglio netto con il passato.

Timido, pacifico, naif, la malizia non è una caratteristica che gli appartiene. In “T2” Spud incontrerà finalmente la sua strada e la percorrerà fino ad arrivare al successo.

E lo farà con una leggerezza tutta sua, che gli si paleserà pian piano, giorno dopo giorno.

Se Mark, SickBoy e Spud si sono evoluti negli anni diventando persone migliori, discorso a parte va fatto per Begbie.

Ancorato all’ideale di maschio alfa, non è stato capace di farsi coinvolgere nel miglioramento generazionale che ha coinvolto gli amici di una vita che rinnegherà e che cercherà di punire pagandone le conseguenze.

I temi e le caratteristiche del film

Trainspotting

Ewan McGregor in una scena di T2-Trainspotting

T2 – Trainspotting si districa egregiamente tra le contaminazioni dei media esterni al cinema e gestisce in modo accattivante la loro proliferazione.

E’ un film capace di cavalcare il concetto di intermedialità, caratteristica attraverso la quale le innumerevoli citazioni risultano sempre particolarmente ben riuscite.

Dal punto di vista registico, Danny Boyle si dimostra una volta di più capace di adoperare diversi stilemi e linguaggi artistici in grado di consegnare un prodotto al passo con i tempi e mai autoreferenziale.

La musica, poi, la fa davvero da padrona.

Una colonna sonora assolutamente straordinaria che riesce ad enfatizzare alla perfezione il cambiamento storico-culturale del nuovo mondo, ma, al contempo, anche e soprattutto l’eterno ed irrisolvibile incontro-scontro tra il necessario volgersi al futuro e la resistenza passiva a base di nostalgici e commoventi flashbacks di una vita unica memoria storica dei protagonisti in quanto esseri umani.

Il film muove da queste premesse per far riflettere lo spettatore su cosa gli uomini facciano della vita nel corso degli anni che scorrono crudeli e come essa, la vita appunto, risponda all’atteggiamento talvolta eternamente fanciullesco di persone che di crescere non ne vogliono sapere affatto.

Il presente atterisce, il futuro è utopia, il passato rappresenta l’unico spiraglio cui aggrapparsi.

Ci sarebbe anche la voglia di andare al di là, ma essa costa un sacrificio ed uno sforzo enorme che i personaggi non possono assolutamente permettersi.

Quello sforzo riesce a farlo solo Spud, proprio colui che non ti aspetti.

E’ lui a stravolgere davvero i piani di definita e definitiva autodistruzione cui sembra andare incontro sin dalle prime battute del film.

E’ lui ad accettare la sfida, a guardare negli occhi del male e a lottare contro i demoni che hanno contraddistinto troppo a lungo la sua esistenza. Tutti gli altri non hanno la sua forza, il suo desiderio di purezza, o meglio, di sincera redenzione.

Restano aggrappati al passato, al tradimento di Mark, all’ossessione, appunto, per tutto ciò che sarebbe potuto essere.

Begbie è il personaggio che più affoga dentro questa “rivoluzione tradita”.

La vita gli scorre innanzi, potrebbe sforzarsi di andare altrove, di fare finalmente qualcosa di diverso dopo essere evaso dal carcere, ma ancora una volta i vecchi fantasmi hanno il sopravvento.

La verità è che dei protagonisti di Trainspotting finiamo col comprendere davvero tutto.

Ragazzi mai capaci di diventare uomini, ma piuttosto idioti antipatici che non vogliono saperne affatto di essere in sinergia col mondo circostante.

L’antieroismo è l’atteggiamento atto a raccoglierli e a categorizzarli. Essi non vogliono la nostra comprensione, affatto.

Non sono neppure alla ricerca di un posto nel mondo e sono stufi di provarne a capire qualcosa di più in merito alla vita. Hanno perso anche quella battaglia.

Si sarebbero volentieri accontentati del proprio star bene hic et nunc, ma hanno amaramente scoperto che non c’è nulla di più irragiungibile della felicità.

Hanno provato a costruirsela attraverso l’eroina, ma i fatti dicono che non hanno avuto ragione.

E non possiamo far altro che accettarli (e amarli) questi characters così tormentati e alla disperata ricerca di sè stessi, sempre e comunque ben lungi dalla capacità di saper imboccare, prima che sia troppo tardi, la strada giusta da percorrere.

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