2 Novembre 2016 - 10:57

Theo Van Gogh e il prezzo della verità. La morte del regista il 2/11/2004

Theo Van Gogh

 Theo Van Gogh e il prezzo della verità. Il 2 novembre del 2004 il regista olandese veniva ucciso da Mohammed Bouyeri, che lo aveva condannato a morte in contumacia per i contenuti del suo ultimo cortometraggio

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Theo Van Gogh e il prezzo della verità. Prima di Charlie Hebdo, prima del lungomare di Nizza, prima di tutti gli estremisti che si fanno giustizia da soli in nome di una verità più grande, c’era lui, Theo Van Gogh, che con la sua cruda rappresentazione di una scomoda verità aveva attirato su di sé l’ira di coloro che credevano che la propria fosse l’unica verità. E per questo doveva morire.

Dodici anni sono tanti, forse la gente ricorda più l’episodio che le modalità, ma proprio il susseguirsi degli eventi che portarono all’omicidio del regista olandese devono far pensare a un dejavu che nessuno, mai, avrebbe pensato di rivivere.

E invece ecco che la storia si ripete: un uomo, libero, e che crede fermamente di esserlo, denuncia il modo di vivere dell’Islam e condanna i suoi dettami, il tutto attraverso le immagini. Non vi ricorda niente? Je Suis Charlie, dicevamo qualche mese fa. Ma nel 2004 nessuno scese in piazza con i cartelli “Je suis Theo”.

Il 2 novembre del 2004 Mohammed Bouyeri, un estremista islamico esponente del Gruppo Hofstad, mondo radicato in Olanda, con addosso la djellaba, un abito della tradizione araba, si avvicinò a Theo Van Gogh e gli sparò otto colpi di pistola. Secondo gli estremisti di Hofstad il regista era stato condannato in contumacia a causa del suo ultimo lavoro, un cortometraggio dal titolo Submission, che conteneva alcune immagini ritenute blasfeme dal Gruppo.

Per rimarcare ancora una volta la natura dell’esecuzione dell’uomo, in ottemperanza alla fatwa, l’assassino si era accanito sul corpo del regista tagliandogli la gola. Il rituale fu terminato con l’affondo, nel ventre della vittima, di due pugnali.

Uno dei due serviva da “fermo” per un documento delirante di cinque pagine, che conteneva minacce ai governi occidentali e in particolare ad Ayaan Hirsi Ali, somala naturalizzata olandese, politica e scrittrice molto attiva per la difesa dei diritti umani e dei diritti delle donne all’interno della tradizione islamica

Proprio lei fu presa di mira perchè il cortometraggio di Theo Van Gogh, Submission, racconta il calvario delle donne musulmane maltrattate in seno alla propria famiglia, e in particolare la storia di una donna picchiata e violentata da un congiunto.

L’immagine che ha scatenato la rabbia dell’assassino potrebbe essere, si pensa, quella in cui la protagonista appare, nuda, ripresa di schiena, con i versi di una sura del Corano riportati sulla pelle.

Certo, il povero Theo Van Gogh non sperava di diventare famoso come il suo antenato più celebre, Vicent, ma sperava almeno che non  avrebbe dovuto guadagnarsi imperitura memoria in un modo tanto violento.

Probabilmente se dodici anni fa i social fossero stati diffusi come ora, sulle bacheche di ognuno ci sarebbe stato il ricordo di un uomo che sarebbe rimasto nascosto in un angolo buio della cinematografia moderna se non avesse subito il “martirio”. Ma nel 2004 ancora ci salutavamo a voce e magari qualcuno avrà parlato con un amico di questa brutta storia davanti a un caffè e non davanti a uno schermo.

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