16 Luglio 2016 - 11:07

Turchia: una vita per costruire una Repubblica e pochi secondi per distruggerla

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La Turchia, dopo il tentativo (fallito) di colpo di stato, mette in evidenza tutte le carenze di uno Stato ormai alla deriva. Cosa accadrà con il “processo di ripristino” appena avviato?

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Uno dei pensieri cardine di Mustafa Kemal Ataturk, padre della Repubblica turca, è senza dubbio quello che contempla la libertà, l’uguaglianza e la giustizia come vere solo quando messe in combinazione con il potere popolare. Questa concezione, a prima vista semplice ma a tutti gli effetti difficile da applicare nel contesto degli anni venti in Turchia, fu necessaria per portare avanti una serie di provvedimenti (quali l’abolizione del califfato e la secolarizzazione dello Stato) che permisero alla nazione il “salto di qualità” rispetto al passato e un processo di modernizzazione dell’intero apparato politico/istituzionale.

Le vicende della scorsa notte, con il colpo di stato tentato da una parte dell’esercito e il “ripristino” dello status quo da parte di Erdogan, mostrano però una situzione non solo ben lontana da un vero e proprio regime democratico ma anche una frantumazione di tutti i pilastri di quella repubblica.

Ciò che è accaduto ha mostrato due lati specifici della Turchia che evidenziano quanto il paese sia nella confusione più totale e quanto il contesto nazionale sia finito in un limbo istituzionale aperto a qualsiasi tipo di futuro.

Il primo elemento è riscontrabile proprio nel “golpe” (fallito) portato avanti da una parte dell’esercito “regolare”.

Al grido “ristabilire l’ordine democratico e la libertà e far rispettare i diritti umani”, i militari hanno tentato di rovesciare il potere del Premier turco facendo leva sui principi base di una democrazia spazzati in un sol colpo dallo stesso Erdogan nel giro di qualche anno.

In questa situazione, dove lo stesso esercito sperava di trovare l’appoggio popolare, si è andato a creare un paradosso in cui, evidenziando le “forti” mancanza dell’attuale gestione, si lasciava totalmente aperta la strada ad una qualsiasi successiva soluzione governativa.

Turchia

Bandiera turca

Si è cercato, in pratica, di utilizzare due specifiche vie, quella delle armi e quella della “disperazione popolare”, per rendere la nazione “libera” dall’attuale conduzione ma allo stesso tempo abbandonata ad un destino totalmente ignoto.

Considerando, invece, il secondo elemento, sembra che la situazione sia di gran lunga peggiorata rispetto al “periodo precedente”.

A differenza della “frangia dei dissidenti”, questa volta a rendere la situazione maggiormente tragica è stato il connubio comunità internazionale-potere vigente.

Grazie all’ennesimo riconoscimento dell’ “istituzione democraticamente eletta” (leggi imposta e subita dalla popolazione) da parte delle diverse potenze mondiali, da un lato si è rafforzato il potere di Erdogan mentre dall’altro si è attribuita ancor più libertà di movimento (e repressione) nella gestione interna.

Questi due fattori, infatti, hanno totalmente “legittimato” sia il “processo di ripristino” attuato fino ad ora dal Premier turco sia la “caccia al traditore” che potrebbe, data l’imprevedibilità delle “istituzioni” presenti, protarsi per lungo tempo e investire anche fazioni totalmente disinteressate alla questione (come quella dei curdi del PKK).

In conclusione si può dire che la Turchia si appresta ad attraversare l’ennesima cristi statuaria caratterizzata da una serie di incognite sul futuro e il “becero populismo”, rappresentante l’ideologia opposta a quella portata avanti da Ataturk, sembrà poter giovare solamente coloro che attualmente detengono il “potere” e che si apprestano anche a “modellare” a loro immagine la nazione “custode della laicità”.

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