7 Febbraio 2017 - 15:30

Apologia del cinema “invisibile”: Twenty-nine Palms di Bruno Dumont

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In questo nuovo appuntamento con il “cinema invisibile” parliamo di Twenty-nine Palms, terza opera e capolavoro di Bruno Dumont

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Alla sua terza opera dopo “L’età inquieta” e “L’umanità”, Bruno Dumont, professore di filosofia prestato al cinema, racconta in “Twenty-nine Palms” la storia di un fotografo che effettua sopralluoghi nel deserto del Joshua Tree in California e della sua donna che lo segue. Non succede nient’altro, se non uno scontro di dialettiche diverse, di modi di appropriarsi dell’altro opposti. Anche la comunicazione verbale parla due lingue antitetiche. Un viaggio on the road che ricorda lo “Zabriskie Point” di Antonioni (che Dumont dice di non aver mai visto) non solo per la scenografia, ma anche per i suoi temi.

Film che ha da sempre diviso la critica di tutto il mondo, capolavoro per niente conciliatorio che sfocia nell’horror più autoriale, da non sfumare, bello e terribile, dove i mezzi termini sono fuori gioco.

I richiami a Derek Jarman e Carmelo Bene

Dice Derek Jarman, grande autore omosessuale, regista della “libertà”, scenografico, sceneggiatore, artista a tutto tondo di origini inglesi morto di Ads nel 1994 :“Un orgasmo ti unisce al passato. La sua atemporalità diventa la fratellanza; i fratelli sono amanti; essi estendono la ‘famiglia‘. Io condivido quella sessualità. Lo era allora, lo è ora e lo sarà in avvenire.” Nel cinema di Dumont c’è un immediato confronto con la sessualità. Un confronto mai vigliacco, una sfida che spezza lo sguardo, un avvilimento della visione intellettuale e morale dell’intera opera. C’è solo l’azione, nello stesso momento in cui viene suggestivamente creata, un’idea quasi anti-cinematografica e anti-narrativa che ci fa a pensare al cinema-manifesto di Carmelo Bene di “Nostra Signora dei Turchi”. Sembra che la giovane coppia del film pensi poco a ciò che fa e inneschi nel cinema una profonda crepa tra ciò che è preventivamente ragionato (azione) a ciò che è profondamente autentico e naturale (atto).  C’è quindi, la “primordialità” degli eventi e dei gesti che da quotidiani diventano archetipi di un’antichità sempre più ricercata.

Il cinema “orgasmico” di Bruno Dumont

Cinema pressoché “orgasmico” che nella fase puramente viscerale del coito, propone una “comunicabilità” impossibile da trasmettere con i gesti, senza l’atto sessuale, impossibile da instaurare nei concetti e nelle parole. Piacere in cui conoscere e riconoscersi, quasi trascendentale e religioso.

Appuntamento con il cinema invisibile: Twenty-nine Palms di Bruno Dumont

Sembra impossibile immaginare un evento mistico legato “all’amplesso”, ma nel cinema di Dumont, il sesso è spurio da qualsiasi volgarità, è salvifico nella maniera in cui lo si presenta quasi “pornograficamente”. Vedere per credere. Una delle opere meno apprezzate del regista, Twenty-nine Palms è in realtà un capolavoro di identificazione, di disturbante semplicità e linearità, in cui tutto è puro, in cui il cinema non è un valore aggiuntivo all’azione, ma è l’azione stessa. Un rapporto schizofrenico tra i due personaggi, liti, sesso, tenerezza, porterà a un presagio e poi a una catarsi finale, che scuoterà le nostre coscienze da spettatori, ma questo non è già più il cinema di Dumont: il suo è un cinema senza didascalismi, dimora negli amplessi più esasperati, anti-filosofico per eccellenza, ghiaccia le coscienze dei protagonisti, abbozzando le loro personalità, vitalizzandone la loro carica erotica vicina alla Grazia. Cinema “ossimorico” ma intenso ed inevitabile.

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