16 Dicembre 2015 - 18:19

Europeismo, la politica del fallimento

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I risultati elettorali francesi testimoniano un malcontento generale che caratterizza i popoli europei, trascurati da un europeismo pronto a soddisfare qualsiasi richiesta del Mercato in nome del sacrificio popolare

[ads1] Il crollo del consenso socialista e repubblicano francese, insieme all’avanzata di Syriza in Grecia, dimostrano che nelle ricette politiche dell’europeismo qualcosa non funziona.

Innanzitutto alla base vi è una questione economica: I debiti finanziari, in gran parte frutto di speculazione delle grandi multinazionali nel mercato azionario, sono stati scaricati interamente sulla popolazione europea, la quale è sempre più privata del proprio welfare e diritti sociali e lavorativi.

Gli stati nazionali, inoltre, non disponendo più di una sovranità economica e monetaria, non hanno alcuna possibilità di contrastare la crisi con misure “protettive”, bensì essi si sottopongono ai diktat di Bruxelles. Dunque è proprio sulla base di questa condizione che il dibattito sulla questione europeismo/euro-scetticismo è tutto meno che sterile. In gioco vi è la sorte dei popoli d’Europa, sempre meno capaci di affrontare le questioni inerenti al proprio territorio, costretti a delegare qualsiasi tipo di scelta economica a organismi decisionali quali la BCE e l’FMI, le quali non costituiscono uno strumento rappresentativo, bensì un ente finanziario con poteri politici.

Prova della mancanza di sovranità economica dei Paesi è la passiviteuropeismoà con la quale essi accettano progetti quali il TTIP, il ben noto trattato transatlantico che prevede l’allargamento e la compenetrazione tra il mercato europeo e quello statunitense, da cui conseguirebbe una spietata concorrenza internazionale nei confronti delle economie locali.

La seconda questione da prendere in considerazione è quella politica: dinanzi a una massiccia opera di precarizzazione del ceto medio-basso e la conseguente disoccupazione, soprattutto per quanto concerne il settore terziario, la classe dirigente progressista non ha saputo individuare “il male alla radice”. La sinistra europea si è limitata ad accusare i grandi gruppi commerciali senza attaccare le istituzioni politiche che favoriscono lo sfruttamento lavorativo dei cittadini europei.

Il fatto preoccupante è che essa abbia navigato nell’illusione di poter cambiare i connotati dell’Unione Europea, un’unione sorta dall’inizio senza un consenso popolare, bensì attraverso i trattati come quelli di Lisbona e Maastricht. Syriza sembrava donare all’Europa una speranza di cambiamento e maggiore democrazia, tuttavia sono bastati i ricatti finanziari della Troika per mettere a tacere gli echi rivoluzionari di Tsipras. Inoltre, le forze progressiste hanno commesso l’ulteriore e decisivo errore di “cambiare abito” in favore di una visione liberale e liberista, non diversa da quella professata dall’Unione Europea.

Le posizioni liberali assunte dalla Sinistra, (con l’eccezione di Syriza), hanno provocato un loro allontanamento nei confronti del precariato e delle comunità lavorative delle zone industriali, il cui consenso è stato abilmente e prontamente raccolto dalla destra nazionalista. Quest’ultima, grazie alla negligenza progressista, è invece riuscita a individuare soluzioni politiche adeguate per l’uscita dalla crisi economica e a trarne consenso, sebbene i contenuti sul trattamento degli extracomunitari siano ambigui e più che contestabili. Concetti come l’anti-monetarismo continentale e la sovranità economica popolare dei singoli stati, da sempre appartenenti alla galassia progressista, sono stati fatti propri dalle destre radicali europee.

L’ultima questione da affrontare è culturale e sociale: il senso di insicurezza e instabilità dell’ordine sociale e della flessibilità lavorativa, uniti al fenomeno terroristico, hanno contribuito ad alimentare il risentimento popolare verso le proprie istituzioni, oltre che un senso di abbandono collettivo. I popoli europei non si sentono protetti, navigano in una perenne incertezza psicologica, scaricando il proprio disagio su capri espiatori, quali le comunità islamiche nella situazione del terrorismo. È certamente anche questo uno dei fattori sui quali il Fronte Nazionale francese ha fatto leva per l’acquisizione del consenso. In ultima analisi, la questione è soprattutto culturale: un’Europa unita può esistere senza la necessità di un macro-organismo politico-economico asservito alla speculazione e agli interessi delle multinazionali, bensì favorendo un contesto in cui i popoli dialoghino e lavorino per una comunità più equa e democratica.

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