Allarme culle vuote: perché in Italia non si fanno più figli?

Il fenomeno del calo della natalità in Italia sta assumendo sempre di più i contorni di una vera e propria piaga sociale

In Italia i giovani sono sempre meno, molti di essi, messi a dura prova dalla disoccupazione, se ne vanno, mentre chi rimane tarda a metter su famiglia.

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L’infografica che qui vi proponiamo, realizzata dalla Clinica per la fecondazione assistita Alma Res in collaborazione con Secret Key, web agency di Roma, ci mostra, numeri alla mano, i dati di questo fenomeno, che effettivamente sta diventando allarmante.

L’orologio biologico avanza inesorabile

Il desiderio di un’affermazione professionale, personale e, non ultimo, di una stabilità economica, porta le generazioni più giovani a “perdere tempo”, mentre, tuttavia, l’orologio biologico avanza.

Perché, ammettiamolo, i tempi in cui si mangiava in quattro o in sei persone quel che si poteva mangiare in due sono finiti.

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Scuole, viaggi, svaghi, oggigiorno chi mette su famiglia è sempre meno disposto ad affrontare sacrifici e rinunce: ecco perché si compie il grande passo solo quando si è effettivamente pronti a sostenere – anche economicamente – tutto ciò che la responsabilità di una famiglia comporta.

Il risultato è sotto gli occhi di tutti: in Italia abbiamo una popolazione che – anno dopo anno – invecchia sempre di più, si ammala sempre di più (spesso di patologie connesse con l’età avanzata) e che fa sempre meno figli.

Mano a mano che l’età della donna avanza, la fertilità diminuisce

Non è infrequente che le coppie che si affacciano al mondo della genitorialità in ritardo rispetto a quanto “stabilito” dall’orologio biologico trovino non poche difficoltà nel concepimento.

 

Se a vent’anni cercare e trovare una gravidanza è piuttosto facile e richiede tutto sommato pochi tentativi, con l’avanzare dell’età la situazione può rivelarsi tutt’altro che rosea.

Se la società è andata avanti, insomma, l’orologio biologico è rimasto quello di un secolo fa. Ed ecco che la donna che cerca di concepire un figlio oltre i 30 anni di età o addirittura intorno ai 40 vede drasticamente ridotta la percentuale di successo.

Lo stesso dicasi per l’uomo, che se è vero che teoricamente può concepire sino a tarda età, viene messo duramente alla prova nella sua fecondità da fattori ambientali come l’inquinamento da polveri sottili e smog, ma anche da fattori emotivi, come ansia e stress.

È evidente dunque che il bebè non sempre è dietro l’angolo quando e come lo si desideri. Insomma, l’eterna sindrome di Peter Pan, l’attesa di sentirsi pronti e maturi al punto giusto, la ricerca dell’affermazione professionale e della stabilità economica, uniti ad una società – come lo è quella italiana – poco attenta alle politiche sociali e poco propensa a facilitare la vita quotidiana delle nuove famiglie, non fanno altro che ripercuotersi negativamente sull’età media della popolazione.

I numeri dell’infertilità in Italia

Per dare qualche numero, si consideri che oggi l’infertilità – ovvero l’assenza di concepimento dopo 12-24 mesi di rapporti mirati e non protetti – colpisce il 15% delle coppie: un numero che dà da pensare. Fortunatamente ci sono anche le buone notizie: oggi scienza e tecnologia vengono incontro a queste coppie aiutandole a raggiungere il loro obiettivo e ad avviare una gravidanza con successo.

La Procreazione Medicalmente Assistita assume contorni e formule diverse: si va dalla procreazione omologa – nel caso in cui i componenti della coppia siano entrambi donatori – a quella eterologa, dove invece si attinge ad un donatore esterno.

In entrambi i casi, come è naturale intuire, le percentuali di successo sono inversamente proporzionali all’età della donna. In ogni caso, alle prime difficoltà conviene dunque affrettarsi, tenendo conto anche di un altro fattore, ovvero i tempi di attesa, che se nel pubblico superano l’anno, nel privato si aggirano intorno ai 3 mesi.

Redazione ZON

I nostri interlocutori sono i giovani, la nostra mission è valorizzarne la motivazione e la competenza per creare e dare vita ad un nuovo modo di “pensare” il giornalismo.

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