A 25 anni dagli ultimi scavi ad Ercolano viene scoperto lo scheletro parzialmente mutilato di uomo che la valanga di fuoco e gas sputata dal Vesuvio in eruzione ha fermato a un passo dal mare e dal miraggio della salvezza. Una scoperta sensazionale che potrà portare nuova luce sugli ultimi momenti di vita della cittadina seppellita come la vicina Pompei dall’eruzione del 79 d.C.
“Un ritrovamento da cui ci aspettiamo moltissimo”, sottolinea appassionato il direttore Francesco Sirano, dal 2017 alla guida del Parco Archeologico patrimonio dell’Umanità. I resti dell’uomo, un maschio di età matura che secondo i primi esami antropologici dovrebbe avere avuto tra i 40 ed i 45 anni, sono stati trovati alla base dell’altissimo muro di pietra lavica che oggi chiude l’antico fronte a mare. Era riverso con la testa all’indietro in direzione del mare e circondato da pesanti legni carbonizzati, persino la trave di un tetto che potrebbe avergli sfondato la testa. Le ossa appaiono di un rosso acceso, “è l’impronta lasciata dal sangue della vittima”, dice l’archeologo spiegando che si tratta di una conseguenza del particolarissimo processo di combustione provocato a Ercolano dalla corrente di magma, cenere e gas arrivata dal Vesuvio.
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