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Manuel Frattini, 25 anni di carriera per il maestro del musical all’italiana

Il 25 maggio 1965 nasce Manuel Frattini, punta di diamante del musical nostrano, un maestro, che in 25 anni di carriera ha lasciato al genere, materiale da annoverare tra i migliori annuari della storia della commedia musicale all’italiana.

Manuel Frattini si approccia al mondo dello spettacolo come ballerino, ma insegue il musical. Il 1991 è l’anno giusto:  padronanza del palcoscenico, sacrificio e studio, versatilità, capacità di entertainment e un Tip tap da urlo, gli valgono l’approdo alla Compagnia della Rancia. Il felice connubio collaborativo con Saverio Marconi lo inscrive tra i grandi nomi del firmamento scenico-musicale. Da allora Manuel non si è più fermato, elevando il musical a sua massima libertà espressiva e peculiarità artistica. Il 2016 coincide con i 25 anni di carriera di Manuel e noi di Zon.it, lo abbiamo raggiunto al telefono, per ripercorrere attraverso una ponderata intervista, alcune delle tappe che hanno contraddistinto il percorso personale e professionale di questo incredibile performer, all’interno del meraviglioso mondo del musical. L’intervista che potrei definire una “piacevole chiacchierata”, si è svolta in un clima di assoluta familiarità, nel rispetto e nella stima reciproca, caratterizzato da attimi di leggerezza, ai quali si sono intervallati istanti di passione pura. Una passione che secondo un meta-processo di costruzione connotativa, ha fatto sì che un semplice genere di rappresentazione teatrale e musicale, smettesse di essere tale e arrivasse a coincidere con la vita stessa, quella di Manuel Frattini, appunto.
A.E: Sono trascorsi ben 25 anni dal tuo esordio teatrale in A Chorus line, in cui hai interpretato il ruolo di Mike Costa, da allora il terreno del musical è divenuto la tua naturale dimensione artistica da calpestare. Se dovessi citare almeno tre momenti che hanno segnato o aiutato l’evoluzione della tua carriera, quali sceglieresti? M.F: «Il primo è stato quello che hai citato, A Chorus line,  che in effetti è stata la mia primissima audizione e la mia prima esperienza sul palcoscenico con il musical. Il 91’ quindi, è stato proprio uno dei tre momenti importanti. Il secondo fa rima con la nascita di Pinocchio, una tappa decisiva nella mia carriera. Perché è stato il primo esperimento totalmente italiano per il quale è nato un teatro a Milano, che è il “Teatro della Luna”. Ha significato per me, Il primo ruolo come protagonista di una certa importanza, l’incontro con i Pooh, da cui è nata la collaborazione con Stefano D’Orazio che continua tutt’ora. E sicuramente ha rappresentato una grande esperienza: dopo 45 anni, uno spettacolo italiano veniva riportato a New York e quindi oltreoceano ed io protagonista di questa preziosa occasione. Il terzo, mi piace pensare che sia adesso. C’è sempre lo stesso entusiasmo del 91’, quello non si è mai spento, non si è mai indebolito. Aspetto il terzo momento, per potertelo poi raccontare». A.E: Attore, cantante, danzatore, in te sono riassunte le massime cifre espressive del musical made in Italy, di cui hai scritto la storia. Parlavi di Pinocchio… Nel  2010, hai avuto l’onore di portare Il fortunato musical di Saverio Marconi a New York. Era dal 1964, quindi dai tempi di Rugantino, che un musical interamente italiano non andava in scena negli USA. Come hai gestito le differenze stilistiche e di repertorio che esistono tra la scuola italiana e la tradizione del musical americano? M.FCon le dovute e riconosciute differenze, devo dire che il pubblico americano ha apprezzato moltissimo la nostra storia con il nostro bel sapore italiano, anche con i nostri difettucci. Pensa che ho avuto la possibilità di arrivare a New York in occasione del Columbus Day, quindi abbiamo sfilato sulla “Fifth avenue” proprio durante il giorno in cui l’America celebra l’Italia. Ho approfittato delle giornate libere dalle prove per andare a vedere tutto il possibile e mi sono reso conto di essere proprio al centro del musical, al centro di quello che è stato il mio sogno. Noi nel nostro piccolo, abbiamo la bella tradizione di essere itineranti, un po’ vagabondi, zingari se vogliamo. Il nostro carrozzone arriva un po’ ovunque. Sicuramente disponiamo di mezzi tecnici inferiori, ma siamo di cuore. Infatti, il cuore degli americani, con la nostra storia di Pinocchio, ce lo siamo portato a casa. E anzi, sottolineo questa cosa perché mi ha fatto molto sorridere, gli americani, sono ancora convinti che Pinocchio, sia una creatura “Disney”, mentre non lo è affatto (Sorride ironico). Con tutto il rispetto per la “Disney” che io adoro, ma accidenti no… Pinocchio è proprio nostro!» A.E: Il 2001 è l’anno di Musical, Maestro!, nel 2006 è stata la volta di Toc Toc a Time for Musical, in cui hai raccontato al pubblico un tuo vissuto personale, proprio a partire dall’amore per il musical;  per poi arrivare a Sindrome da Musical. Titoli e soggetti che lasciano intuire una cronica dipendenza. Racconta un aneddoto che meglio esplica la sfrenata passione che nutri nei confronti di tale genere. M.F: « Un aneddoto non basterebbe, perché ce ne sono talmente tanti che al momento temo di non trovarne uno così indicativo. Sindrome da Musical, mi rappresenta perché è una dipendenza alla quale sono piacevolmente rassegnato. Io davvero ancora immagino di essere alla fermata dell’autobus e di mettermi a ballare e cantare mentre aspetto, rischiando l’arresto ed altre cose. (Sorride divertito). Per cui, questa è un po’ la mia leggerezza, chiamiamola così, con la quale convivo che poi è la stessa sindrome di Peter Pan, della quale sono assolutamente affetto. Il palcoscenico è “L’isola che non c’è”, è “Il paese dei balocchi”. Questi spettacoli che hai citato, sono stati pensati insieme a grandi collaborazioni: nella prima occasione è stato Fabrizio Angelini, in Toc Toc a Time for Musical, Mauro Simone. E con Sindrome da Musical, Lena Biolcati. Sicuramente abbiamo lavorato fianco a fianco, mettendo nero su bianco quello che ho raccontato. Preciso che ho sempre cercato di guidare la cosa in modo che questi spettacoli non rischiassero di diventare  mai autocelebrativi, perché tale risultato non mi sarebbe andato giù. Mi piace ironizzare su me stesso, in Toc Toc a Time for Musical, l’ho fatto molto perché qui a differenza di Sindrome da Musical, ho inserito un pezzo della mia vita, ma non per presunzione, semplicemente perché ci sono stati degli episodi nel mio percorso così insoliti che ho trovato fosse carino poterli inscenare» . A.E: Pinocchio, Peter Pan, Robin Hood e Aladdin: rappresenti una conferma per il panorama favolistico che continua a far coincidere il tuo volto con quello di principi e creature fantastiche. Sei stato capace di trasmettere oniriche morali ai più piccoli e di far sognare gli adulti. Quanto fanciulleschi bisogna essere per calarsi nei panni di  personaggi che hanno incantato intere generazioni? M.F: « Lo devi per forza un po’ avere nell’anima no? C’è questa frase: «Un uomo non smette di giocare perché invecchia, ma invecchia perché smette di giocare» ed è verissimo. Questo aspetto di me, credo sia stato fondamentale per portare in scena quella spensieratezza tipica dei personaggi che hai nominato. Personaggi che sono anche come età scenica lontani da me, però forse, questo desiderio di rifiutare qualsiasi responsabilità dell’adulto, mi ha sicuramente aiutato a interpretare meglio questi ruoli.Forse mi troverei più in difficoltà a interpretare qualcuno della mia stessa età anagrafica! No, scherzo. (Sorride). Sarebbe un aspetto che mi piacerebbe affrontare, al quale sto lavorando in qualche modo…» A.E: Tra l’altro tu hai questo tono di voce molto chiaro e distintivo che forse ti ha agevolato nell’interpretazione. Se posso, ti faccio questo complimento. M.F: « Grazie (Sorride) in effetti ha aiutato, non ho dovuto fare un grosso lavoro vocale». A.E: Devi aver bevuto, l’elisir di lunga vita, perché sei sempre giovanissimo. Qual è il segreto? M.F: « L’elisir di lunga vita, per mantenere questo spirito, è quello di avere la passione. È quello di avere il privilegio di fare nella vita, quello che piace fare. E questo penso sia un po’ rivolto a tutti, poiché assicura una serenità che va poi a rispecchiarsi in noi stessi». A.E: Manuel, sembra proprio che tutte le tappe artistiche più importanti siano state raggiunte, il tuo curriculum è costellato di premi e riconoscimenti. C’è qualcosa di incompiuto, un progetto o un sogno lasciato nel cassetto che vorresti tirar fuori? Un Manuel Frattini autore, ad esempio, è una possibile prospettiva futura? M.F: «Per quanto riguarda il “Manuel Frattini autore”, sarò molto sincero, come quando mi chiedono del “Manuel Frattini regista”. Io credo che queste siano vocazioni, la mia è stata quella di fare il performer, quella di stare sul palco, di fare, ballare e recitare. È giusto riconoscere i propri limiti e riconoscere altre attitudini appartenenti ad altre persone. Non sarei un autore, non son capace. Posso mettermi di fianco a chi è del mestiere e suggerire, ma autore o regista sono realtà lontane da me in questo momento. Anche perché, in questi anni ho avuto modo di vedere quello che è il lavoro dell’autore e quello del regista ed è faticosissimo! Di grande responsabilità, così come lo è quello del performer, ma parliamo di cose diverse. Per quanto riguarda i sogni, io dico sempre che ho una cassettiera a muro, enorme, gigantesca, piena di scomparti e in ognuno c’è un progetto, ce ne sono tanti. Cito uno per tutti, che da tempo ronza nella testa mia e di altre persone e chissà che un giorno non si possa realizzare… Sarebbe quello di mettere in scena Chaplin. Credo che sia un personaggio che abbia da offrire tanto e lo cito con estrema umiltà». A.E: Pericolosa come scelta, perché si è difronte a un mito… M.F: «Si, un mito. Un mito affascinante, universalmente riconosciuto che ha dato così tanto. E così tanto, ci sarebbe da raccontare. Ripeto, è un mondo che mi attrae e che sentirei vicino per tanti aspetti. Insomma, tu prima hai citato principi e io nelle fiabe non potrei mai essere il classico principe 1,80 e occhio azzurro, no? Quindi diciamo, per tutto quello che avrebbe da dire un personaggio come Charlie Chaplin, almeno fisicamente è già un passo verso quella direzione, ma è troppo poco, quindi…» A.E: A proposito di fattezze fisiche. In molti spettacoli, ad esempio in Aladin, si ironizza sulla tua statura. M.F: «Si. Ma quella è una cosa sulla quale mi diverto moltissimo! (Sorride divertito) Credo sia importante saper ironizzare su sé  stessi, io poi ho fatto della mia fisicità, un po’ la mia forza, quindi ci convivo benissimo da sempre. Tornando a noi. Poi c’è un progetto per il quale incrocio le dita, ma purtroppo non posso svelarlo ora, perché è un po’ presto… Ma se andrà in porto, l’anno prossimo mi vedrai in scena, con una persona di cui ho una stima pazzesca, di cui l’Italia intera ha una stima pazzesca. Chissà? chissà che questo non sia il cassetto aperto e che poi rimarrà vuoto perché quel sogno si è realizzato».
Devo dire che a seguito dell’intervista, anche a fronte di un apprezzamento personale che nutro nei confronti di questa grande icona del teatro musicale, mi è presa una vera e propria “Sindrome da Manuel Frattini” e me ne compiaccio, perché di guarirne, non ne ho intenzione alcuna. Ringraziamo ancora Manuel Frattini e nell’augurargli buon compleanno, gli facciamo un grandissimo in bocca al lupo! In attesa di risvolti interessanti e magici, come tali sono stati i successi raccolti in uno scoppiettante venticinquennale da un artista che ha ancora tanto da offrire e dal quale il pubblico tanto si aspetta. La redazione di Zon.it cita e ringrazia con affetto, la stimata Morena Pompignoli.
Antonella Esposito

Sono specializzata in Comunicazione pubblica e d'impresa e laureata in Scienze della comunicazione. Animata da una forte passione per la scrittura critica. Seguo con interesse musica, cinema e teatro.

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