Immagine tratta da pixabay
Il 26 dicembre del 2004 alle 7:59 ci fu uno tsunami in Indonesia con onde alte fino a 15 metri generate da un sisma di magnitudo 9.1. Fu il terzo terremoto più violento degli ultimi sessant’anni dopo il terremoto in Cile nel 1960 (magnitudo 9.5) e quello in Alaska avvenuto quattro anni dopo (9.2).
Le onde anomale raggiunsero le coste di 14 Paesi in tre continenti. Vennero colpiti tutti i Paesi del Sudest asiatico tra cui l’Indonesia, Sri Lanka, India e Thailandia. Dopo il disastro delle prime ore, i governi locali dovettero affrontare una drammatica emergenza umanitaria e dare soccorso a un numero enorme di sfollati.
Gli sfollati furono almeno 1,5 milioni in Sri Lanka, più di 100mila in India, quasi 30mila in Thailandia e altre centinaia di migliaia di persone in Indonesia. In totale i morti furono 230 mila, i feriti oltre mezzo milione e 5 milioni gli sfollati.
Se ci fossero stati dei sistemi per segnalare in tempo l’emergenza tsunami, molte vite si sarebbero sicuramente salvate. La tragica esperienza ha però portato alla costituzione dell’Indian ocean tsunami warning system, uno strumento fondamentale per analizzare le possibili conseguenze dei terremoti e segnalare ai governi dei Paesi interessati stime e tempi di arrivo di possibili onde anomale.
L’impatto di quel fenomeno devastante fu così forte che da allora è cambiato il sistema di monitoraggio e allerta dei maremoti, anche in Italia.
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