3 Novembre 2018 - 12:39

7 Sconosciuti A El Royale: Goddard si trasforma in Tarantino

7 Sconosciuti A El Royale

Il nuovo 7 Sconosciuti A El Royale è un vero e proprio omaggio al regista del Tennessee. E ai suoi Pulp Fiction e The Hateful Eight

Diciamo che Drew Goddard non è mai (e ne siamo più che convinti) banale quando gira un film. Chiunque abbia visto Quella Casa Nel Bosco se n’è potuto accorgere, la sceneggiatura (scritta con il mitico Joss Whedon, padre degli Avengers) regala un sacco di sorprese, mai banale e con un finale che spiazza completamente. Con 7 Sconosciuti A El Royale, però, il regista cambia strada.

Niente più metahorror, né omaggio agli slasher anni ’80. In questo caso l’icona presa “di mira” è uno dei registi più influenti degli ultimi 25 anni (e della storia del cinema, aggiungiamo): Quentin Tarantino. Lo schema di 7 Sconosciuti A El Royale, infatti, si presenta come un thriller corale, in grado di sorprendere senza voler essere così appariscente. Anzi, al contrario, regala una dimensione piuttosto oscura, riprendendo il filone dei noir (ed ecco che Tarantino ritorna, varie le ispirazioni da Sin City).

L’idea è quella di creare una storia che possa sì riprendere le mire citazioniste (Goddard in questo è un maestro), ma creare al contempo una storia solida, che abbia anche un significato sociale al suo interno. E qui ci riesce ottimamente, in quanto mira a riflettere la posizione degli afroamericani all’interno della società USA dell’epoca e su giovani bianchi traviati da culti mansoniani.

Il tutto con l’ausilio di un cast eccezionale, costituito da Cynthia ErivoJon HammJeff BridgesDakota JohnsonCailee SpaenyLewis Pullman e (ultimo ma non ultimo) Chris Hemsworth, sempre più attore feticcio del regista.

Entriamo nel dettaglio.

Una torbida storia doppiogiochista

La storia ci catapulta nel 1969, durante la presidenza Nixon. 7 Sconosciuti A El Royale si svolge tutto in un motel al confine tra California e Nevada (particolarità in comune con Identità di James Mangold, 2003: recuperatelo). Il gestore del motel Miles Miller (un ottimo Lewis Pullman) conosce 4 ospiti. Sono Padre Daniel Flynn (un solido Jeff Bridges), la squattrinata cantante Darlene Sweet (la formidabile Cynthia Erivo), il venditore di aspirapolvere Seymour Sullivan (il sempre intrigante Jon Hamm) e l’hippie Emily Summerspring (una Dakota Johnson sottotono).

Tutti convergono nello stesso punto, l’albergo El Royale, con obiettivi diversi. Quella che sembra essere una normale visita di cortesia si trasforma, man mano che passano i minuti, in una nottata infernale, che farà emergere gli oscuri segreti di tutti i singoli protagonisti. Ad avallare ciò, vi è l’ingresso in scena della giovane Rose (Cailee Spaeny) e dell’enigmatico Billie Lee (magistrale Chris Hemsworth).

Il dialogo del film si svolge in mezzo alle varie camere d’albergo (e chi non scorge il parallelo con Four Rooms di Tarantino pecca di conoscenza), tra cui capiremo che nulla è casuale. E che, soprattutto, nulla di ciò che accade è come sembra.

The Hateful Seven

Come già detto, chiunque guardi la pellicola non può (e non deve) esimersi dal paragonarla a thriller corali di “tarantinesca” memoria. In un thriller “corale in una stanza”, naturalmente, facile rifarsi a quel regista che su questo genere di film ci ha quasi costruito un’intera carriera. Una sorta di “The Hateful Seven”.

In 7 Sconosciuti A El Royale gli attori sono costretti a convivere in spazi stretti e a sfogare i loro più brutali istinti in maniera non dissimile. Ma Goddard riesce a fare di più: riesce ad unire corpi smembrati da colpi di arma da fuoco a distanza ravvicinata, minacce, umiliazioni psicologiche e una disillusa rappresentazione della fine del Sogno Americano. Critica sociale fortissima all’America odierna, sfruttando quella del passato.

Ad avallare l’ipotesi della citazione, vi è anche la durata del film, ben 141 minuti. Andando a confrontare, 7 Sconosciuti A El Royale dura quasi quanto un cult come Pulp Fiction (144 minuti) ed ha, per l’appunto, la stessa componente “pulp”. Goddard, nonostante il confrontarsi con mostri sacri, riesce a mantenere sempre le fila del racconto e a tessere una tela intricata, piena di sapienti colpi di scena (come ci aveva ben abituato in Quella Casa Nel Bosco). Il risultato è un film che non annoia mai.

La prova attoriale di Dakota Johnson e la sceneggiatura

Se c’è, però, un punto cieco in 7 Sconosciuti A El Royale, quel punto si chiama Dakota Johnson. L’anello debole è rappresentato proprio dalla prossima protagonista di Suspiria. Insapore, né sensuale né inquietante, né ironica né pungente. La Johnson riesce ad affossare, ad ogni sua entrata in scena, il ritmo del film.

Potenzialmente, la sua Emily Summerspring può essere il personaggio più esplosivo (insieme ad Hemsworth) dell’intero lotto. Risulta, invece, essere quasi fastidioso e irritante, inespressivo e troppo mite per un film che punta molto di più sulla freschezza e sull’estro.

Paradossalmente, però, anche la sceneggiatura si presenta come una sorta di punto debole. Un’eccessiva cura dei dettagli (a tratti spaventosa) finisce per far passare l’esperienza d’insieme in secondo piano. E questo, naturalmente, può non piacere a tutti, dato che la componente autoriale è sempre più scarsa nel cinema d’intrattenimento.

Un potenziale cult

In conclusione, 7 Sconosciuti A El Royale segna la rinascita del noir contemporaneo come dimensione corale. Ci troviamo di fronte ad un potenziale cult, almeno di quest’annata cinematografica. La pellicola è capace di intrattenere senza compromessi e di intrigare lo spettatori con una prova registica di alto livello.

7 Sconosciuti A El Royale si conferma un film di solida e avvincente scrittura, di variopinta e avvolgente fotografia e forte di una memorabile colonna sonora. Drew Goddard sorprende ancora una volta e dimostra, questa volta, anche una grandissima propensione ad una regia fastosa, fatta di chiusure su primi piani e scenografie molto ampie.

Certo, non è qualcosa di unico del cinema, e la vena citazionista c’è sempre. Ma è sfruttata consapevolmente, per mirare alla creazione di un prodotto sì d’intrattenimento, ma che arricchisce anche i palati dei patiti tecnici del cinema.