25 aprile 1945 – 25 aprile 2016. Come è cambiata l’Italia?
L’Italia che si appresta a festeggiare il 25 aprile non può dirsi del tutto liberata da talune “particolari pratiche”. La storia, inevitabilmente, si ripete…
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Lo scrittore britannico Aldous Huxley in un suo celebre intervento disse: “Il fatto che gli uomini non imparino molto dalla storia è la lezione più importante che la storia ci insegna.”
Questa affermazione tende in un colpo solo, ad evidenziare due importanti elementi: il primo è dato dall’importanza della storia (intesa come eventi che si susseguono nel tempo) mentre il secondo è che, nonostante gli errori siano già stati compiuti ed ampiamente “condannati”, gli eventi inevitabilmente si ripetono.
La data del 25 aprile 1945 rappresenta, per la nostra nazione, più di una semplice festa: la resa delle truppe nazifasciste e la fine della guerra civile, in seguito alle rivolte partigiane in diverse città, furono solamente gli ultimi episodi di una guerra contro un regime, portata avanti con le armi e con l’opposizione di tanta gente che non si riconosceva in quell’ “oscuro” modo di vedere.
A 71 anni da quell’evento, la nostra nazione si presenta, però, alquanto impreparata, perchè, come affermava Huxley, la più grande lezione che la storia ci insegna è che gli uomini non imparano molto dalla storia.
Pur non essendoci (fortunatamente) un regime dittatoriale come allora, la nuova Italia che si appresta a vivevere il 25 aprile mostra alcune (forse troppe) caratteristiche simili a quelle sperimentate in passato.
Dal punto di vista prettamente politico-decisionale si possono ritrovare ben tre punti di contatto fra quelle “pratiche” e quelle odierne: Parlamento esautorato, elezioni (quasi del tutto) bypassate e potere decisionale (e mediatico) incentrato sulla figura del leader carismatico.
Per quanto riguarda il primo punto si può dire che il ricorso continuo alla questione di fiducia (soprattutto in caso di impasse o dissensi interni) e alla funzione legislativa del governo (Dl e dlgs) rendono il Parlamento un luogo privo di qualsiasi “senso di esistere”.
L’azione di indirizzo politico, infatti, viene fatta propria esclusivamente dal governo (il cui potere rientra nell’esecutivo) e lo stesso luogo di “costruzione delle norme” diviene solamente il centro di “ricatto” politico-istituzionale.
Il secondo punto, invece, riguarda la famosa Riforma del Senato (arrivata quasi al termine dell’iter parlamentare):in questa specifica situazione è necesarrio tirare in ballo la nostra “tanto amata” Costituzione che i padri intendevano dare alla “nascente” nazione appena uscita dall’incubo della guerra.
Il concetto di bicameralismo paritario (cioè un sistema composto da due Camere in posizione di “pari”) nasce con l’intento di rendere il “controllo” sulle future leggi ancor più rigido, al fine di evitare gli errori del passato.
La Riforma del Senato, invece, facendo leva sulla “storpiatura” dell’iniziale concetto di bicameralismo (fondato, successivamente, sulle “strategie politiche” e sulla “guerra tra correnti”) non solo rende inutile la (fu) “Camera Alta” nazionale ma tende a snaturarla ancora di più attraverso la “nomina indiretta”(togliendo, dopo quanto fatto con l’istituzione provinciale, la possibilità ai cittadini di esprimere le proprie preferenze) dei rappresentanti delle regioni che “tanto si sono distinti” in questi ultimi periodi (ultima la vicenda petrolio e smaltimento in Basilicata).
Infine, il ruolo centrale del leader carismatico.
Nelle tante discussioni fra “polititologi” la frase che meglio rappresenta questa peculiarità italiana è: “Per sconfiggere Berlusconi serviva Berlusconi”.
Ebbene si può dire che il “modus operandi” non è diverso anche da altri che, avendo ben in mente l’obiettivo di “governare” su tutto praticamente da soli, cercarono di “eliminare” qualsiasi tipo di opposizione facendo leva sul proprio carisma e sulla propria capacità di “zittire” tutte le altre istituzioni presenti.
Lo stile propagandistico, poi, evidenzia ancor di più questo tratto che ai giorni nostri viene ampliato dai nuovi mezzi di comunicazione e dall’occupazione totale dei “vecchi mezzi” (la cara TV).
Ora come allora, il 25 aprile, quindi, si trasforma in una festa di “Resistenza”: “Resistenza” all’omologazione, “Resistenza” ai sopprusi, “Resistenza” da chi cerca di rendere l’uomo sempre più “schiavo”… “Resistenza” da chi è indifferente…
“Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti” (Antonio Gramsci)
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