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Sanremo 2020, con Achille Lauro “gli uomini cambiano”

Achille Lauro sul palco dell’Ariston nel corso della terza serata della 70° edizione di Sanremo ha stupito (nuovamente) con una mise ad omaggiare David Bowie. Con Annalisa si è reso protagonista di una performance profonda e significativa

“The kids was just crass, he was the nazz
With God given ass”

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“I ragazzi erano proprio ottusi, lui era il Messia
con un culo divino”

Cantava David Bowie nel 1972 con l’albumThe Rise and Fall of Ziggy Stardust and the Spiders from Mars. Il testo era l’omonimo Ziggy Stardust, immediatamente considerato dalla critica e dal pubblico un capolavoro, destinato a cambiare il percorso artistico del performer britannico e del panorama musicale mondiale. Ziggy l’alieno, alter ego di Bowie, era giunto sul pianeta Terra per rivolgere un messaggio di pace, di speranza, come un messia. Ancora Ziggy, un essere che viene da lontano, pansessuale e che non dà alcun spazio al machismo, o al femminismo forsennato, che diventa canone della fluidità di pensiero, dell’umanità selvaggia. Ziggy deve salvare, è il suo unico compito, e non c’è sesso che tenga.

Passano cinquant’anni e sul palco dell’Ariston, alla Settantesima edizione di Sanremo, Achille Lauro – accompagnato da Annalisa – si esibisce sulle note di “Gli uomini non cambiano” dell’immortale Mia Martini. Achille Lauro indossa un completo verde smeraldo. Sul suo volto brilla un trucco turchese-argento. Capelli rossi completano il quadro. Il riferimento a quell’uomo, a quell’alieno, è immediato. Eppure Achille Lauro introduce elementi nuovi, diversi: nessuna tutina spaziale, ma un completo che invece rimanda persino a “Life on Mars”.

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Poi archi, chitarra e voce: inizia a riprendere vita il testo iconico della Bertè, che sviscera sofferenza, dolore, malessere: sentimenti di una personalità – quella di Mimì – che aveva la necessità di essere capita, accettata e amata per quella che era. Mia Martini, che invece fu maltrattata, offesa, calunniata da uomini possessivi, rozzi, tetramente grotteschi.

Achille Lauro, che invece ha dichiarato di essere allergico ai modi maschili, ignoranti con cui è cresciuto, ha cantato “al femminile”, rispettando le parole dell’artista.

“Voglio essere mortalmente contagiato dalla femminilità, che per me significa delicatezza, eleganza, candore”

Achille Lauro – Sono io Amleto

E Achille Lauro si posiziona non uno, non due, ma tre passi indietro rispetto ad Annalisa, alla quale passa “la parola” in modo dolce, a tratti malinconico, lasciandole il centro del palco e dell’attenzione, lasciando che cantasse con rabbia, con veemenza tutto ciò che una donna oltraggiata può esprimere. Quello di Achille Lauro può essere definito come uno dei migliori gesti femministi che si sono visti sul palco dell’Ariston in questa edizione sanremese, molto più incisivo di uno smielato monologo di Diletta Leotta.

Achille Lauro concilia il suo “io” bowieano e il testo della Bertè. C’è spazio per la sofferenza e la sconfitta, ma porta all’Ariston anche una possibilità di redenzione. La possibilità che anche “gli uomini possano cambiare”, comprendere la diversità, accettandola e rispettandola. Il duetto ha toccato con intelligente sensibilità diverse corde, senza poter offendere in alcun modo la memoria (non solo artistica) della cantautrice italiana, né quella del Duca Bianco.

Esibizione intelligente, preziosa, necessaria.

Allora perché ridursi a dover commentare ricordando che Renato Zero, o lo stesso Bowie, avevano fatto ciò che Achille Lauro ha fatto, ma cinquant’anni fa? Esiste ancora quest’esigenza di dover “oltremodo” trasgredire? La risposta non può che essere positiva. In un’Italia che procedente a velocità sostenuta verso la regressione, abbandonando qualunque idea di progresso, basata sui concetti quantomai targhettizzati, su slogan primitivi e medievali, vi è la necessità di una personalità di rottura.

Forse, ancora nel 2020, abbiamo bisogno di Ziggy Stardust. Ben venga se nel corpo di Achille Lauro.

Francesco Celetta

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