Una malattia perlopiù ancora sconosciuta. Ad oggi non sono ancora pienamente note le cause scatenanti del morbo di Alzheimer, la principale forma di demenza al mondo. Si conoscono diversi fattori di rischio importanti, come età avanzata, mutazioni genetiche, stile di vita e condizioni fisiche. Anche essere donna comporta un rischio superiore, il doppio rispetto agli uomini. Un nuovo studio, ora, potrebbe aver scoperto uno dei meccanismi più importanti legati allo sviluppo della malattia.
Infatti, gli autori della nuova ricerca condotta sull’Alzheimer hanno osservato che nel cervello delle persone decedute con Alzheimer vi è una percentuale superiore di cellule con segni di invecchiamento. Inoltre, vi è anche un’interazione ridotta tra il DNA fortemente ripiegato (cromatina) e l’RNA. In altri termini, le cellule cerebrali – come i neuroni e gli oligodendrociti – possono invecchiare in modo uniforme, con alcune che lo fanno più rapidamente e altre meno. Proprio questo fattore potrebbe scatenare la malattia, che compromette la capacità d’interazione tra DNA e RNA.
A determinare questa scoperta, ci ha pensato un team di ricerca internazionale guidato da scienziati del Programma in Bioinformatica e Biologia dei sistemi dell’Università della California San Diego, che hanno collaborato a stretto contatto con i colleghi del Dipartimento di Bioingegneria e Shu Chien-Gene Lay e dell’Istituto di Ingegneria in Medicina. I ricercatori hanno scoperto questa correlazione dopo aver analizzato a fondo il cervello di 14 donatori deceduti.
“Con questa tecnologia trasformativa a cellula singola, abbiamo scoperto che alcune cellule cerebrali sono ‘più vecchie’ di altre. Se potessimo identificare i geni disregolati in queste cellule invecchiate e comprendere le loro funzioni nella struttura locale della cromatina, potremmo anche identificare nuovi potenziali bersagli terapeutici.” ha dichiarato il capo dei ricercatori, il professor Zhong.
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