22 Dicembre 2016 - 13:51

Attentati in Italia: il rischio c’è (ma non troppo)

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In Italia fortunatamente non abbiamo avuto nessun attentato, ma è solo per merito dell’Intelligence o c’è altro?

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L’importanza dell’Intelligence non è certamente messa in dubbio, e il suo lavoro è di indiscutibile valore. L’Intelligence può portare un valore aggiunto nei processi decisionali perché rappresenta un catalizzatore delle capacità delle diverse amministrazioni competenti ad agire in pieno raccordo nelle diverse sfere di competenza; assicura – attraverso la raccolta informativa e la disseminazione – la circolazione delle informazioni rilevanti tra gli attori istituzionali competenti; ‘obbliga’ ad una chiarezza di obiettivi su cosa è strategico.

L’Intelligence lavora sulle situazioni di confine, segnala rischi specifici ed edifica difese, allunga il campo all’azione del governo consentendo, se del caso, la messa in opera di contromisure adeguate. Occorre una capacità proattiva di analisi e ricerca, una riflessione a tutto spettro sulle questioni per passare all’utilizzo in teatro operativo della conoscenza acquisita e condivisa. Esempio di un pensare e leggere l’Intelligence che nei primi due anni di operatività ha portato ad esempio il sito del Comparto a raccontare il cyber in tutte le sue declinazioni, stimolando anche un dibattito tra accademici e ricercatori del settore.

Ma certamente anche gli altri stati hanno l’intelligence, allora come è possibile che vengano spesso attaccati?

Forse non ci sono vere ragioni per supporre che i servizi di intelligence Italiani siano migliori di quelli francesi, tedeschi, persino belgi. Il fatto che l’Italia non abbia ad oggi subito attentati di marca Isis, in questo caso, non può che dipendere da altro, da ragioni geopolitiche, dallo specifico livello di coinvolgimento in posizione molto defilata dell’Italia nella guerra contro l’Isis.

L’obiettivo del cosiddetto Stato islamico è instaurare il Califfato in casa sua. Da sempre gli attentati dell’Isis in Europa cadono, dunque, in corrispondenza dei momenti di arretramento dell’Isis in Medio Oriente. Sono, da questo punto di vista, nell’economia complessiva del conflitto, un segno di debolezza e non di forza, attestano un ridimensionamento dell’offensiva nel primo teatro di guerra. Ulteriore segnale di debolezza sarebbe da leggere nella portata “minore” (sebbene ovviamente non meno tragica) dell’attentato e nel non essere riuscito l’Isis a radicalizzare le comunità islamiche (nel caso della Germania, le comunità tedesche), nella grandissima parte impermeabili al suo messaggio d’odio.

Ovviamente, Francia, Germania, sono altamente impegnate nella campagna in Medio-Oriente, e quindi naturalmente bersagliate da questi attentati, che arrivano proprio nel momento in cui l’Isis ha difficoltà ad avanzare.

Altro elemento è che l’Italia è un paese di passaggio e non il luogo dove gli stranieri intendono rimanere. La stragrande maggioranza dei migranti vede il nostro paese come una delle tappe del lungo viaggio che li porterà a destinazione, in Germania o nel Nord Europa. Le coste italiane accolgono ogni giorni centinaia di persone ma sono sempre meno quelli che rimangono. Storicamente, l’Italia è un paese di migranti (siamo noi italiani ad aver viaggiato nel mondo alla ricerca di un lavoro o per fuggire a guerra e povertà) e solo di recente ha iniziato ad avere una popolazione straniera permanente: dati Istat alla mano, gli stranieri in Italia sono 5 milioni su 60 milioni e mezzo, cioè l’8.3% del totale.

Insomma, per ora in Italia siamo ancora tranquilli.

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