È morto Bernardo Bertolucci. Apologia (in morte) del cinema civile

Bertolucci, in fondo passato alla storia più per il “burro” di Ultimo Tango a Parigi che per le plebi padane con la bandiera rossa, esattamente a metà degli anni ’70, era ultimo e candido cantore del cinema civile

Il cinema civile in Italia ha un’antica quanto flebile tradizione. Antica, perché figlia del neo-realismo (anni ’50) che “civile” lo è per spontaneismo collettivo ed egemonia da “salottismo” minoritario.

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Quindi “flebile”, dal momento che – sia pure prevalente nei canali intellettuali e nella produzione culturale  – non si è mai “sporcato” con le grandi direttrici popolari. Le ha accarezzate (il PCI anzi le organizzava) è vero, ma mai egemonizzate.

Le ha raccontate ma mai inoculate nel vivo della trasformazione italiana.

Il cinema civile, cioè, avrebbe avuto bisogno – oltre la grancassa mediatica dell’Inner Circle di case editrici e cinematografiche – della trasformazione del “racconto civile” nelle scuole e nelle università. Le ha attraversate, questo si! Le ha rappresentate superficialmente, in termini di pseudo/protagonismo salvo poi – e questi anni “di amianto” ne sono racconto inesorabile – sparire nel sottopelle dell’attuale racconto depressionario.

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Il cinema civile, dunque e sia detto “post mortem”, ha bisogno di uno storytelling prima e dopo! Prima, per esserne retroterra culturale, Dopo per esserne racconto condiviso.

L’eccezione (perché c’è sempre un’eccezione) sono stati gli anni ’70.

Quando il racconto collettivo proveniva da strade e piazze, da individualità prepotenti e grandi affreschi collettivi. Quando “il personale era racconto politico” e nella stagione in cui (anche l’estremismo ne era racconto esplicito) comunque era “risata liberatoria che avrebbe chiuso la plumbea stagione della violenza medesima”.

Bertolucci, in fondo passato alla storia più per il “burro” di Ultimo Tango a Parigi che per le plebi padane con la bandiera rossa, esattamente a metà degli anni ’70, era ultimo e candido cantore del cinema civile.

Con “Novecento” (parte prima e seconda) affresca uno scenario straordinario e autentico.

Grazie naturalmente ad attori di primissimo spessore (Lancaster, Depardieu, De Niro, Sutherland, Sandrelli ed altri) ma soprattutto alla luce di una narrazione capace di ri-tradurre e ri-scoprire.

C’è sempre un “RI” veritiero o verosimile, prima di una scoperta che non è mai attuale ma sempre successiva e proveniente.

Il racconto della critica (quella del birignao salottiero) prevede che il cinema civile segua sempre le grandi ondate culturali egemoni (toh! Riecco Gramsci). Invece no! Esso deve essere (se bravo e autentico) essere “dentro” ma controcorrente.

La Storia, in fondo (e la sua narrazione) è come una pietra al centro del fiume. Quella che, però, conta e prevale è l’acqua che gli scorre intorno!

Il cinema civile (e la sua letteratura) altro non è che il contrappunto altro, rumore di fondo e talvolta accompagnante ma estraneo.

Negli anni ’70, (anche con le scorie degli accessori della violenza e della stitichezza ideologica) gli anni presunti dell’impegno, il racconto storico e critico si proiettava dentro le contraddizioni raccontate mirabilmente da P.P.Pasolini.

Una gigantesca Critica Sociale!

La Storia (con la esse maiuscola) di plebi e contadinami che già non c’erano più (addirittura oggi proto-leghisti) travolte dall’omologazione pasoliniana (toh! chi si rivede) di televisioni, lessici relativi e trasformazioni sociali ma che – di plebi e contadinami – erano in una feconda contraddizione, eredi e traduttori (quand’anche per qualcuno “traditori”).

La violenza politica italiana di quella stagione non nasce nelle aree metropolitane di Milano, Torino, Genova o Napoli (verranno dopo) ma proprio (lo raccontano le istruttorie giudiziarie) proprio dentro le nebbie padane.

Il cinema civile di Bertolucci è straordinariamente “inattuale”. Perchè “preparava” e – al contempo – traduceva in nostalgia.

Pedagogizzava perché nostalgico.

Cos’è la pedagogia se non racconto perpetuante di altre storie e cos’è la nostalgia se non (dal greco antico) Nostòs e Algòs” (cioè il dolore del ritorno)?

Bertolucci è uscito dalla Storia ed entrato nella Leggenda con il suo “Novecento” proprio per avere costruito questa straordinaria operazione di rilettura culturale.

Proprio come quell’artigiano cilentano che nella pietra o nell’argilla lascia il segno non di suo ma di sedimenti ed eredità.

Articolo a cura di Sandro Livrieri

Redazione ZON

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