Cannes 2018, Asia Argento gioca contro l’ordine (scomodo) delle cose

Cannes 2018, Asia Argento sale sul palco per premiare la Migliore Attrice e pronuncia parole scomode da un posto “comodo”

Cannes 2018, la cerimonia è la stessa, ma l’aria è diversa. A prescindere dai premi, dai film, dai vincitori di cui pure si deve parlare (si tratta di cinema), ad essere diversi sono gli occhi di chi guarda e l’atteggiamento di chi è osservato. Certo, restano i vestiti sfavillanti, le passerelle più utili ai giganti della moda che agli attori stessi, ma questa volta sono cambiati i discorsi, quelli solitamente utilizzati come trappola per gli applausi dopo una vittoria. E di Asia Argento si può dire tutto, anche che cerchi di fare il pieno di applausi, ma non che non abbia cambiato qualcosa nelle dinamiche del cinema mondiale. #MeToo è un movimento travolgente che colleziona copertine, palchi importanti, spazi in prima pagina per portare sotto i riflettori una storia che è vecchia come il mondo e non riguarda solo il cinema. #MeToo è, perché no, un movimento che indossa tacchi a spillo da paura, come una star, che veste con abiti glitterati e parla, si sgola, come probabilmente non era mai accaduto fino ad ora.

Il discorso

Asia Argento sale sul palco della cerimonia finale di Cannes 2018 come si addice ad una stella e pronuncia un discorso che è importante per diversi motivi, forse nessuno di questi è nell’immaginario comune. “Nel 1997 sono stata stuprata da Harvey Weinstein qui a Cannes.” – dice poco prima di consegnare il premio alla Migliore Attrice – “Avevo 21 anni. Questo festival era il suo territorio di caccia. Voglio fare una previsione: Harvey Weinstein non sarà mai più benvenuto qui. Vivrà in disgrazia, escluso dalla comunità che un tempo lo accoglieva e che ha nascosto i suoi crimini. E perfino stasera, seduti tra di voi, ci sono quelli che ancora devono essere ritenuti responsabili per i loro comportamenti contro le donne, che non sono accettabili in questo settore. Sapete chi siete. Ma soprattutto noi sappiamo chi siete. E non vi permetteremo più di farla franca”. Se è comodo parlare da lì, in quel bel vestito, davanti ad una platea che vuole solo ascoltarla, può dirlo soltanto lei. Da qui, quello che si può dire è che non è stato comodo denunciare dopo anni le violenze subite, sentirsi dire che se non ti ribelli è come se dicessi sì, vedere i salotti televisivi riempirsi di persone che discutono i modi, parlano per “forse”, asseriscono che probabilmente le accuse andrebbero portate in Tribunale, “senza nulla togliere a queste donne coraggiosissime”, dicono però tutti con un gran sorriso, perché i rivoluzionari piacciono ma mai troppo. Quello che non è comodo è guardare crescere un movimento di persone che fino a quel momento aveva taciuto, prenderne in un certo senso il comando, diventarne il volto, vederlo additato come mezzo per raccattare una visibilità che non si ha o che non si ha più, ma sempre quasi di nascosto, perché far la parte di quelli che stanno con gli oppressi quanto basta, quello sì che è cool, quello sì che è comodo.

Se lo smacco è anche a #MeToo

L’attrice sale sul palco e scocca un altro smacco al (nuovo?) ordine delle cose. Parla di Harvey Weinstein, prevede il suo esilio, poi davanti a centinaia di stelle che pendono dalle sue labbra dice che non è finita. Altri aggressori sono seduti proprio in quella sala, annuiscono, la ascoltano parlare col sorriso e sono circondati da altre persone che sanno. Asia Argento fa sapere dal suo “comodo” angolo patinato che la realtà attorno non è poi tanto diversa dall’ordine delle cose prima dell’esplosione del caso Weinstein. È la faccia di un movimento premiato come “Persona dell’anno” del 2017 dal Times ma è in qualche modo anche la peggior nemica di un nuovo ordine costituito, quello in cui si crede di aver fatto tutto il possibile, di aver cambiato profondamente la realtà per sempre, di non doversi più preoccupare di niente. “Sappiamo chi siete” – dice Asia Argento dal palco e sembra guardarli davvero tutti – “E non vi permetteremo più di farla franca“. Non è ancora finita, anche se le copertine parlano di queste donne. Tirar giù qualche premiazione non basta (vedi il caso Nobel per la Letteratura). Il nuovo ordine delle cose, ad Asia Argento come al resto delle donne, non basta più. Ed è importante che donne e uomini lo sappiano. È importante che sia chiaro che le copertine e i palchi non bastano, che non c’è niente di comodo in quello che sarà il lavoro dei prossimi anni, che gli applausi vanno bene per le telecamere ma che chi guarda saprà cosa hai fatto e non ti giustificherà più in nome dell’arte, combattendo per far sì che nessuno più sia disposto a farlo.
Redazione ZON

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