Ping. Pong, chi più ne ha più ne metta. Per chi non è pratico di Cina i nomi possono ingannare. Il cognome qui viene prima, poi arriva il nome. Come dev’essersi sentito Xi Jinping, quando il ministro Luigi Di Maio, in visita all’Expo di Shangai lunedì, lo ha chiamato “presidente Ping“? Non deve averla presa bene.
E Di Maio non lo ha fatto nemmeno per una sola volta. La prima è stata dal palco del Forum su Commercio e innovazione, di fronte a una platea di capi di Stato e imprenditori come Bill Gates e Jack Ma. La seconda a tarda sera, in un’intervista ad un giornalista locale: “L’impressione sul discorso del presidente Ping… è sicuramente un discorso di apertura ai mercati.”
Insomma, lo strafalcione c’è stato, sbagliare è umano. Ma non è comprensibile farlo quando il discorso viene preparato da uno staff adibito, che assolve al suo compito e che soprattutto deve fare i conti ogni giorno con queste realtà.
Se non altro, però, il presidente della Cina non sembra essersela presa. Infatti, è stato ufficialmente siglato il memorandum sulla Nuova Via della Seta, il grande piano globale di investimenti in infrastrutture voluto dal Segretario del Partito Comunista Cinese. Un’occasione di riscatto, per il ministro del Lavoro.
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